Manette a schiovere e procure in guerra.
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Renzi sulla Giustizia che fa?
Il déjà vu giudiziario a Milano travolge Expo. Scajola arrestato e Pd impaurito. Nessun disegno, molti rischi per tutti
La consueta intraprendenza preelettorale delle procure ha prodotto ieri clamorose iniziative dei magistrati milanesi e di Reggio Calabria. A Milano sono stati arrestati il direttore Pianificazione e acquisti di Expo 2015, Angelo Paris, e altre sei persone, tra cui l’ex segretario amministrativo della Dc milanese, Gianstefano Frigerio e Primo Greganti, il “compagno G”, del Pci lombardo ai tempi di Mani pulite. I pm calabresi hanno arrestato l’ex ministro Claudio Scajola. I reati ipotizzati sono diversi e vale la pena analizzarli separatamente, anche perché è assai difficile identificare un disegno in qualche modo riconducibile a una strategia unitaria del “partito delle procure”, in una fase in cui il potere giudiziario è attraversato da linee di frattura e da lotte talora accanite per la supremazia interna, personale o di corrente che sia. Così la cronaca giudiziaria riporta in primo piano personaggi diventati in qualche modo “simbolici” nella leggenda nera della rivoluzione giustizialista: da quelli di un lontano passato come il “compagno G” a un esponente di primo piano della Seconda Repubblica come Scajola, e per non farsi mancare nulla il parlamentare siciliano del Pd, renziano ed ex sindaco di Messina, Francantonio Genovese, per il quale in Giunta delle autorizzazioni alla Camera gli esponenti del suo stesso partito hanno dato il via libera all’arresto, pur di non incorrere nelle ire dell’opinione pubblica giustizialista, tanto rilevante in fase elettorale. L’arresto di Genovese, assieme a quello, assai drammatizzato in un albergo di Roma, di Scajola, accusato di aver favorito la latitanza di Amedeo Matacena – un ex parlamentare di FI condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, un reato associativo che molte giurisdizioni straniere non riconoscono – sono indubbiamente i meno plausibili. Mancando i presupposti di legge (pericolo di fuga, inquinamento delle prove e reiterazione) che consentono il carcere preventivo.
Ma è noto che queste motivazioni vengono di norma scavalcate ogni volta che si affaccia la possibilità di un arresto eccellente. Peraltro il tentativo cui avrebbe partecipato Scajola consisteva nel favorire il trasferimento di Matacena dagli Emirati arabi, dove è libero seppure senza passaporto, perché le richieste di estradizione italiane sono state respinte, in Libano, dove invece, come dimostra il caso di Marcello Dell’Utri, sarebbe incarcerato in attesa della decisione sulla richiesta della magistratura italiana. Forse è un po’ esagerato considerare questo un favoreggiamento. Poco chiari per ora risultano anche i contorni dell’inchiesta milanese su presunti tentativi di corruzione e turbativa d’asta in appalti connessi all’Expo e ai lavori per la Città della salute di Sesto San Giovanni. Quel che è evidente è che in queste accelerazioni (qualche settimana fa era stato arrestato Antonio Rognoni, ex ad di Infrastrutture lombarde, la partecipata della regione che tanta parte ha nei cantieri per l’Expo) c’è un riflesso delle tensioni che dividono la procura milanese. La cosa è evidente anche in questa vicenda giudiziaria, sostenuta dal procuratore Edmondo Bruti Liberati e da Ilda Boccassini, ma la cui impostazione non ha convinto l’aggiunto Alfredo Robledo, titolare a Milano per i reati finanziari, proprio in questi giorni contrapposti di fronte al Csm in una disputa che ha scoperchiato molte pentole. Non ultima quella sul ruolo indebito che Boccassini avrebbe assunto negli interrogatori da cui originò il processo Ruby. Robledo ieri non si è presentato in conferenza stampa con il suo capo e la collega, e Bruti Liberati ha candidamente ammesso che “l’indagine non è firmata anche da lui in quanto non ha condiviso l’impostazione”. Va detto che l’Expo, in realtà, non è al centro delle indagini guidate da Boccassini, anche se è diventato l’argomento principale con l’arresto di Angelo Paris. Le dichiarazioni di Bruti Liberati, più loquace del solito, insistono sull’ampiezza delle relazioni tra gli indagati e tra loro ed esponenti politici non indagati, più che sulla effettiva natura dei reati contestati. Si vedrà in seguito se si è trattato di un polverone politico-elettorale basato su un teorema o su una ricostruzione realistica di una catena corruttiva.
Quel che risulta ancora una volta evidente è il protagonismo dello strapotere giudiziario che punta, nelle rievocazioni dei suoi numerosi cantori, a perpetuare l’idea di una politica incorreggibile che da vent’anni, addirittura spesso con gli stessi protagonisti, insiste in pratiche illecite contrastate soltanto dall’eroica magistratura inquirente. A ben vedere si dovrebbe dedurre l’inverso: che l’impianto giustizialista dominante nel ventennio non ha dato alcuna soluzione, anche perché ha impedito alla politica di ammodernare riformandoli il sistema giudiziario e il suo sistema stesso, rimasto sotto schiaffo delle procure. E’ evidente che il destinatario finale di questi “messaggi”, a cominciare da quello trasversale sull’Expo cui è legata l’attendibilità internazionale dell’Italia, è Matteo Renzi. Far fallire l’Expo, far saltare le riforme fomentando un clima antipolitico sono minacce al suo progetto. Renzi però continua a tenere un profilo assolutamente elusivo proprio sulla riforma della Giustizia, senza la quale però nessun potere elettivo è in grado di esercitare le sue funzioni. La riproposizione della rivoluzione giustizialista, che vent’anni fa si presentava come elemento di rinnovamento, ora ha chiaramente un effetto e persino un dichiarato obiettivo di conservazione dell’esistente. Compresi i poteri della magistratura. Se Renzi vuole davvero “cambiare la musica” dovrà affrontare questo Moloc che blocca da decenni ogni evoluzione della politica e ogni riequilibrio dei poteri istituzionali.
© - FOGLIO QUOTIDIANO, 9.5.2014