Giochi di guerra civile in Europa- Kiev lancia un blitz

per riprendersi l’est, “molti morti”. I pro russi contrattaccano.

Elezioni in bilico

Le forze di Kiev tornano ad attaccare Sloviansk per la terza volta, e gli osservatori presenti sul posto hanno coniato per l’operazione “antiterroristica” la battuta “Chechen style”. Elicotteri ucraini abbattuti da lanciarazzi sparati dai “pacifici manifestanti” filorussi, come li chiama Mosca, carri armati, decine di soldati, in un’offensiva caotica che ha i connotati di un blitz militare. Il Cremlino parla di “operazione punitiva contro il proprio popolo” e accusa Kiev di aver silurato definitivamente gli accordi di Ginevra. Il governo di Arseniy Yatsenyuk annuncia i “10 giorni più difficili della storia dell’Ucraina indipendente” e ribatte che i russi non hanno voluto tirare il guinzaglio ai propri seguaci nell’est. Resta il caos, che ieri si è esteso anche a Odessa, sul mar Nero: ci sono stati spari, granate, un edificio dei sindacati è stato occupato dai separatisti ed è andato in fiamme, i morti sono almeno 35. Le elezioni presidenziali del 25 maggio sono sempre più in forse (e Putin comunque si prepara a non riconoscerle) e una situazione ingestibile sul terreno.

Mentre il comandante della Guardia nazionale ucraina, Stepan Poltorak, parla di una città “praticamente liberata” con soli due militari uccisi, sembra che Sloviansk resti in mano al “sindaco popolare” Viaceslav Ponomariov. Non si sa nulla della sorte degli ostaggi, tra cui i sette osservatori europei della Osce, militari ucraini e giornalisti. Il presidente ucraino ad interim, Olekandr Turchynov, parla di “numerosi criminali uccisi e feriti”, i separatisti ammettono un morto. Non è chiaro se i militari sono riusciti a entrare in città, ma in una rara sintonia sia gli ucraini sia Igor Strelkov, l’ufficiale dello spionaggio russo che comanda le milizie locali, confermano che stavolta le truppe di Kiev sono riuscite a chiudere l’assedio ed eliminare i posti di blocco dei ribelli. Intanto municipi di altre città nei dintorni restano occupati, mentre proseguono i preparativi del “referendum” sulla secessione dell’11 maggio. Kiev ammette di essere incapace di domare una rivolta tutto sommato circoscritta. Le truppe speciali Berkut che avevano sparato sul Maidan sono passate con il nemico, il reparto Alpha (indagato per le stragi di Kiev) si è rifiutato di combattere. Il governo è costretto a usare l’esercito, poco preparato e motivato, con l’inevitabile rischio di fornire ai teleschermi immagini di carri armati che schiacciano donne e bambini, e la Guardia nazionale, formazione nata per imbrigliare i militanti del Maidan: un passo verso la guerra civile. I “sindaci popolari” e gli “omini verdi” invece di creare un movimento politico hanno preferito – forti anche di fedine penali poco pulite, e l’esperto americano Mark Galeotti nota il cospicuo peso della criminalità nella “rivolta” – darsi alla lotta armata, con annessi pogrom di rom e torture di ostaggi. Per Mosca intervenire militarmente in loro favore è troppo imbarazzante, ma scaricarli è impossibile, soprattutto in questi giorni di celebrazioni per la vittoria sul nazismo, che Putin festeggerà in Crimea.

I separatisti hanno ignorato perfino il referendum sulla federalizzazione offerto da Kiev. Il Partito delle regioni ex di Yanukovich, il protagonista dell’est del paese, ha scelto di non diventare il “braccio di Mosca”, restando così tagliato fuori. La pallottola che ha quasi ucciso il sindaco di Kharkiv Gennady Kernes è un avvertimento ai “traditori” che hanno cercato di arginare il separatismo e tentare un dialogo. Ma il Cremlino non ha reagito con movimenti di truppe, come aveva fatto al precedente tentativo di blitz ucraino. E qualche commentatore moscovita comincia a dire che la Crimea è stata un “caso storico a parte”: una frenata all’espansionismo imperiale in voga fino a qualche giorno fa.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Anna Zafesova   –   @zafesova, 2 maggio 2014 - ore 21:30

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