Perché il filo che lega Cav. e Renzi tiene.
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Nonostante i vari buffetti elettorali
Tattica, percorsi, Senato, altre convergenze parallele (il dopo Nap.) e sondaggi. Quella nascita di due minoranze del Pd
Tattica, campagna, elezioni, strategie, frizioni vere, frizioni finte, balletti elettorali e una nuvola di fumo dietro la quale si nasconde una verità che potremmo sintetizzare più o meno così: proviamo. Nonostante i buffetti che ogni giorno Matteo Renzi e Silvio Berlusconi si scambiano con affetto, e che per evidenti ragioni elettorali continueranno a scambiarsi da qui alle europee, la sostanza del rapporto tra il presidente del Consiglio e l’ex premier è sempre la stessa. E non è cambiata di un millimetro: Renzi ha bisogno di Berlusconi nella stessa misura in cui Berlusconi ha bisogno di Renzi. Certo, ci potranno essere ritardi nella tabella di marcia del premier (sarà difficile che la riforma del Senato venga approvata in prima lettura entro il 25 maggio, più facile sia approvata in commissione). Ci potranno essere ritardi nella presentazione di qualche riforma (la Pubblica amministrazione era prevista per la fine di aprile, domani Renzi farà uno show in conferenza stampa sul tema, ma il decreto che doveva essere approvato in un primo momento il 18 aprile è stato infilato in un cassetto ed è difficile venga approvato entro la fine del mese). Ma il filo che lega Renzi e Berlusconi resiste sia per le ragioni evidenti (Renzi ha bisogno dei voti di Forza Italia per far contare quasi nulla la minoranza del Pd, Berlusconi non può permettersi di rottamare un presidente del Consiglio che sta portando avanti pezzi significativi del suo vecchio programma elettorale). E sia per le ragioni meno evidenti (che riguardano, naturalmente, l’accordo non scritto tra Pd e Forza Italia di scegliere insieme il successore di Giorgio Napolitano, quando il presidente della Repubblica, probabilmente alla fine del semestre europeo, deciderà il suo passo indietro). In questa fase, i fili del dialogo tra Forza Italia e Partito democratico li tengono rispettivamente Denis Verdini e Lorenzo Guerini, e il vicesegretario del Pd è convinto – lo ha ripetuto ieri al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio – che con alcune piccole modifiche la riforma del Senato passerà. E il resto? Sondaggi alla mano – l’ultimo, Emg, ricevuto dal presidente del Consiglio indica un gradimento personale al 67 per cento e una percentuale del Pd al 33 per cento – Renzi è convinto che buona parte di questa campagna elettorale verrà, sì, giocata da due grandi partiti virtuali (euro sì, euro no) guidati dal premier e dal comico genovese, ma i dati e i ragionamenti del segretario del Pd portano a una conclusione diversa: che il Partito democratico ha già conquistato quello che poteva conquistare e che la vera battaglia oggi è tra chi riuscirà ad acciuffare gli elettori disorientati del centrodestra. Sarà in grado di trattenerli Berlusconi? Li conquisterà Grillo? Andranno verso Alfano? E la Lega? All’interno di questo quadro, l’altro elemento che offre a Renzi la possibilità di avvicinarsi senza eccessive pressioni all’appuntamento con le europee riguarda la certificazione plastica della progressiva “balcanizzazione” della minoranza del Pd. Ieri pomeriggio un gruppo di deputati e senatori ha inaugurato alla Camera una nuova corrente – a trazione dalemian-bersaniana – guidata dal capogruppo del Pd Roberto Speranza (Area riformista). Contestualmente, un altro gruppo di parlamentari del Pd, guidati da Matteo Orfini e Andrea Orlando, sta lavorando – così risulta al Foglio – per dar vita a una fondazione autonoma (legata alla casa editrice Editori riuniti) indipendente dal corpaccione rosso dalemian-bersaniano, formata al momento da 38 deputati e 13 senatori. La fondazione sarà registrata dal notaio il 10 giugno. E non ci vuole molto a capire che una minoranza divisa in due (Civati è un caso a parte) non può che essere un’assicurazione sulla vita del presidente del Consiglio.
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di Claudio Cerasa – @claudiocerasa, 29 aprile 2014 - ore 06:59