Così Monti rifiutò. il commissariamento dell’Italia
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in crisi. Nel dicembre 2011 Usa e Germania fecero pressioni:
volevano che Roma accettasse l’aiuto esterno del Fmi
ALESSANDRO BARBERA, La Stampa 22.4.2014. ROMA
Esce giovedì, per i tipi di Rizzoli, “La lunga notte dell’euro”, il libro di Alessandro Barbera e Stefano Feltri che ripercorre la crisi della moneta unica europea. Pubblichiamo un estratto del secondo capitolo.
Sin da novembre, negli incontri internazionali e nelle chiacchierate con gli amici di vecchia data, molti chiedono a Monti – o gli suggeriscono – se è intenzionato a chiedere un pacchetto di aiuti internazionali. […] «Soprattutto all’inizio la pressione è forte» racconta l’ex premier. «In uno dei tanti incontri che abbiamo nelle prime settimane me ne parla il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Mi chiede se non penso che questo possa contribuire a far scendere la pressione sull’intera eurozona.»
Cancellerie, banche e grandi investitori diventano il partito trasversale degli aiuti: sono convinti che nel caso in cui il Paese venisse messo sotto tutela – dal Fondo monetario o dalla Troika europea – si ridurrà l’incertezza sui mercati, si guadagnerà tempo per diminuire l’esposizione verso i Paesi più instabili e, soprattutto, si apriranno buone opportunità di affari con le privatizzazioni imposte in cambio dei prestiti di emergenza. C’è anche un altro aspetto. […] Accettando la Troika, l’Italia sceglierebbe la strada dei tagli di spesa e della riduzione del perimetro dello Stato, i creditori sarebbero pazienti perché avrebbero la certezza che il Paese non può sottrarsi ai suoi impegni e si porrebbero le basi per una maggiore crescita futura, almeno nell’ipotesi (contestata) che ridimensionare la spesa pubblica sia sempre meglio che aumentare il carico fiscale. Invece Monti resiste alle pressioni, pur sapendo che questo comporterà concentrare tutto il risanamento di cui l’Italia ha bisogno in poco più di un anno.
La crisi europea è anche un problema americano. Obama continua a essere preoccupato che un disastro nell’eurozona possa compromettere la fragile ripresa degli Stati Uniti e quindi la sua rielezione. L’8 dicembre 2011 il suo segretario al Tesoro Timothy Geithner incontra Monti a Milano. I due si vedono nella prefettura di Milano la mattina successiva la prima del Don Giovanni di Mozart alla Scala. «Voleva un mio parere su un eventuale intervento del Fondo monetario, si chiedeva se avrebbe potuto mettere in campo le risorse sufficienti a garantire un Paese grande come l’Italia». […] Anche il finanziere George Soros, l’uomo che negli anni Novanta guidò la speculazione contro la lira, invita il suo vecchio amico Monti a pensare a un supporto esterno durante un incontro cui è presente anche Grilli: «Con rendimenti così alti c’è un forte potenziale di investimenti in titoli pubblici, sono sicuro che un piano di aiuti avrebbe un gran successo». Ma Monti resta fieramente contrario. Giusto? Sbagliato?
[...] Finire sotto un programma di aiuti significa sottoporsi a ricette dall’alto, severe e rapide, durissime per i cittadini. È d’altra parte vero che in alcuni casi la cura, per quanto drastica, ha funzionato. Brasile, Corea del Sud, Indonesia, Turchia: ci siamo abituati a sentir parlare di questi Paesi per gli enormi progressi fatti in pochi anni. Ma dagli anni Novanta in poi tutti e quattro sono stati sostenuti da aiuti del Fondo monetario. Stessa cosa si potrebbe dire di chi è finito sotto programma di aiuti europeo. L’Irlanda ha ripreso a crescere, in Spagna – l’unico Paese a chiedere aiuto solo per le banche – ci sono segnali importanti di ripresa della crescita e degli investimenti, il Portogallo arranca di più ma è anch’esso in recupero.
Solo in due casi della storia recente non vale la regola, Argentina e Grecia. Due Paesi cronicamente indebitati, che però hanno sempre tardato o rinunciato a fare ciò che era necessario per uscire dalle secche.