Donne, intrighi e potere La storia segreta del Pci
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Gino Longo, figlio di Luigi, lo storico segretario comunista, rivela
oltre 70 anni di "dolce vita" del Partito. A partire dagli amorazzi moscoviti di Togliatti
Roberto Festorazzi - Dom, 20/04/2014 - 09:14
«Fu in quel mese di agosto del 1935 che mi recai, con mia madre e con l'autobus sgangherato del Comintern, alla festa dell'aviazione a Tushino, che era allora, se non sbaglio, un aerodromo». Così scrive, introducendo i suoi ricordi piccanti sull'amore moscovita di Palmiro Togliatti, un testimone d'eccezione, Gino Longo, figlio di Luigi, segretario del Pci dopo il Migliore, dal 1964 al 1972.
Gino Longo ha prodotto una narrazione sterminata lunga 4000 pagine, tutte inedite. Nato nel 1923, da una coppia di «rivoluzionari di professione», come si chiamavano allora i dirigenti del Pci, Longo e Teresa Noce, ha attraversato indenne la tempesta infuocata del Ventesimo secolo, vissuta da una poltrona di prima fila. E ora si gode il meritato riposo nel suo buen retiro vicino a Como. Due mogli russe, naturalmente in successione, è tra i rari sopravvissuti dell'era del Comintern, e può piantare la sua selva di bandierine sull'atlante storico del Novecento, per dire: «io c'ero». Era, infatti, a Berlino, nel '32, alla vigilia della conquista del potere da parte di Hitler. Esule con i genitori in Francia, passò nell'Urss di Stalin proprio nel '32, per tornare a Parigi nell'agosto del '38. Fu di nuovo a Mosca, all'inizio del '41, quando era ancora in vigore il patto Ribbentrop-Molotov. «Figlio» della Terza Internazionale, fu allevato in Unione Sovietica, nei convitti del Soccorso Rosso e, nel '42-43, seguì gli ultimi corsi della scuola-quadri del Comintern, per poi passare alle dipendenze della Direzione politica centrale dell'Armata Rossa.
Tornato in Italia nel '45, fu dapprima segretario di redazione all'Unità e poi lavorò alla sede di corrispondenza romana dell'agenzia di stampa sovietica Tass. Fece in tempo a rientrare in Russia, per assistere al tramonto di Stalin del quale fu interprete, al Cremlino. Racconta: «Conobbi, oltre all'intero gruppo dirigente del Pci clandestino, anche personaggi di primo piano del comunismo internazionale come Maurice Thorez, Mathias Rakosi, Dimitri Manuilsky, Dolores Ibarruri, Walter Ulbricht, Ho Chi Minh. Vissi con i figli di Mao, sono stato compagno di studi di Markus Wolf \». Di sé oggi dice: «Sono un marxiano edonista», libertario in politica e libertino nel privato. E, in effetti, si racconta come un sensuale adoratore dei piaceri della vita: letteratura, sesso, viaggi, cucina. Un uomo, insomma, che si è divertito moltissimo, passando indenne attraverso le macerie e i lutti del secolo breve.
Nelle sue memorie autobiografiche narra la propria esistenza di sradicato, senza famiglia, abituato a cavarsela da solo fin dall'infanzia, all'ombra delle «istituzioni totali» che allevavano, in vitro, la nuova generazione della futura nomenclatura dell'internazional-comunismo. Questa sua acuta precocità lo rese un ragazzino alquanto sveglio, curioso di tutto e interessato a gettare ponti verso l'altro sesso. Ecco perché, nel '35, nel pieno dell'esplosione puberale, si trovò a covare bramosie non proprio stilnovistiche nei confronti di una donna sposata che diverrà l'amante di Togliatti. Quel giorno d'estate, mentre viaggiava sul torpedone del Comintern, fu attratto da una passeggera esibizionista, una russa sui trent'anni che si strusciava su un uomo che non era certo suo marito. Era una brunetta con un corpo da urlo, snella e sinuosa. Sbronza, sembrava voler provocare l'accompagnatore, suscitando la riprovazione di Teresa Noce, che portava il figliolo alla festa dell'aviazione.
Gino bombardò di domande la madre, che gli raccontò la verità su quella donna, Elena Lebedeva, Lena per gli amici. Scoprì che era sposata a un dirigente comunista, Davide Maggioni, alias Marcucci, ben conosciuto dalla moglie di Longo in quanto avevano insieme frequentato la scuola leninista di Mosca. A quel tempo Maggioni era rappresentante italiano al Kim, l'Internazionale della gioventù comunista.
Perché Teresa Noce biasimava il comportamento di Elena? Perché, pur essendo marxista e rivoluzionaria, la signora Longo, che nel dopoguerra sarebbe poi stata ripudiata dal marito, era austera in fatto di costumi sessuali. Quindi disapprovava il patto che i due coniugi licenziosi, Maggioni e Lebedeva, avevano stretto quando si era sposati: marito e moglie, sì, ma con ampia facoltà di cornificarsi a vicenda.
Scoppiò la guerra civile spagnola, e sia i Longo sia la coppia «di larghe vedute» andarono a combattere nella penisola iberica, con i repubblicani. Luigi Longo vi divenne ispettore generale delle Brigate internazionali, cioè responsabile politico di circa 50mila miliziani di 52 Paesi che facevano pratica di lotta armata, e di terrorismo di massa.
Nel '37, la tragedia. Davide Maggioni ebbe un accesso di gelosia verso Elena, che faceva l'interprete, ma soprattutto la sgualdrina, racconta Longo junior, dedicandosi «a biondi piloti russi, galanti ufficiali di collegamento spagnoli, compagni delle brigate e probabilmente anche qualche politico». Tra i coniugi scoppiò un litigio. Lui alzò le mani contro di lei, e lei lo abbandonò. Maggioni, disperato, si rivolse a Longo, scongiurandolo di far intervenire Teresa Noce per riportare la pace. Ma l'intervento per ragioni di forza maggiore non fu tempestivo, e Davide si uccise sparandosi un colpo di pistola.
Nell'autunno del '43 Gino Longo avrebbe ritrovato la Lebedeva, che proveniva da una famiglia ebraica di intellettuali, alla redazione di Alba, un foglio di propaganda finalizzato alla rieducazione politica dei prigionieri italiani dell'Armir. Al giornale, diretto da Togliatti-Ercoli, lavorava anche Elena, che allora aveva già avviato una relazione con il Migliore. Il compagno Ercoli, che al tempo era il vice del bulgaro Georgi Dimitrov alla segreteria generale del Comintern, non mancava mai alle riunioni di redazione, forse per intrecciare languidi sguardi con l'amante. Benché facessero di tutto per nascondere la loro intimità, Elena e Palmiro apparivano come una coppia affiatata. Per quanto sposato con la compagna Rita Montagnana, evidentemente il leader comunista desiderava concedersi a un amorazzo moscovita. Quasi uno sfizio da cinquantenne: al suo ritorno in Italia avrebbe ripudiato la Montagnana, per concedersi a Nilde Iotti.
Gino Longo seguitò a corteggiare la Lebedeva. Un giorno lei lo attrasse nella sua tela, invitandolo nella sua stanza all'Hotel Lux: «Varcai così la soglia della sua camera da vergine, anzi da puttanella solitaria. Vidi anche, buttate con negligenza su una poltrona, un paio di calze trasparenti di seta, e mutandine di rosa tea guarnite di pizzo, molto suggestive che Lena si affrettò a far scomparire, arrossendo e scusandosi». Ma quella volta lei lo mandò in bianco. Un conto era tradire Maggioni. Un altro fare fesso il Migliore.
(1. Continua)