E’ il business della Sanità, bellezza. I tagli
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alle spese e qualche domanda su quanto rende il settore privato
Abbiamo concluso l’analisi dei costi standard”, ha detto ieri Graziano Delrio intervistato da Repubblica, e “il ministro Lorenzin sta scrivendo il nuovo Patto per la salute”. Tradotto dovrebbe significare una revisione radicale della spesa sanitaria, che nei desiderata del governo potrebbe corrispondere a un risparmio di oltre un miliardo di euro. Ridurre la spesa sanitaria (ma “senza l’accetta”, come sempre si dice) resta uno dei problemi più spinosi e su cui meglio riflettere per i governi italiani: sia per la dimensione delle risorse assorbite, sia per l’evidente valore sociale delle prestazioni fornite. Ci sono di certo regioni malamente spendaccione, su cui finalmente intervenire senza alibi demagogici e politici. Grazie al sistema di controllo informatico delle forniture si potrà a breve (almeno queste sono le indicazioni) iniziare a fare di meglio che in passato, facendo magari attenzione a distinguere le inefficienze dalle irregolarità dolose, senza eccessi di moralismo.
Ma c’è un’area altrettanto rilevante che coinvolge la spesa pubblica, quella della Sanità gestita da istituti privati in convenzione, che invece pare solleciti l’interesse dell’opinione pubblica e della politica solo quando emergono specifici episodi scandalosi o scandalistici. Ciò che invece andrebbe esaminato in profondità è l’andamento complessivo di un sistema che ha mostrato negli anni una considerevole redditività, maggiore che per altri settori imprenditoriali, come si evince anche da una semplice osservazione empirica, notando la disponibilità di grandi famiglie della Sanità privata a investire nell’azionariato di società editrici della stampa quotidiana, dai Rotelli che provarono a scalare Rcs agli Angelucci, per fare degli esempi. Ovviamente, di questo non c’è da menare scandalo sul fronte dell’informazione, in un sistema in cui, a differenza degli altri grandi paesi occidentali, mancano le figure di grandi editori “puri”. Però qualche domanda, che potrebbe tornare utile non solo al ministro Lorenzin, può essere posta. Se un business privato che dipende dalla spesa pubblica ottiene profitti così vistosi da poter essere investiti in settori a minore redditività, ma importanti per la società nel suo complesso come la stampa, forse è il caso di verificare se ciò dipenda soltanto da un livello di efficienza del privato nettamente superiore al pubblico (il che è in parte plausibile), o non forse anche da uno squilibrio evidente, indipendente da variabili strutturali ma collegato a oggettivi favoritismi, magari resi necessari per compensare i mostruosi ritardi nei pagamenti dei crediti vantati dal privato nei confronti delle amministrazioni pubbliche. Insomma la piccola, grande domanda sul perché di un settore privato così florido a spesa del pubblico e della sua capacità complessiva d’influenza sarebbe ora di porsela, nel momento in cui l’Italia pare scossa dalla determinazione a diventare un paese più moderno.
© - FOGLIO QUOTIDIANO, 15 aprile 2014 - ore 06:59