Una Confindustria zoppa prepara barricate anti

Renzi. Squinzi vs. premier, paragoni col Cav., editoriali di fuoco.

Poche ragioni

Il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ne è convinto: Matteo Renzi, dopo aver tagliato l’Irpef per 10 miliardi, aver forse dato un contentino alle imprese con una mini-riduzione dell’Irap, e soprattutto avere asfaltato le parti sociali, capitalizzerà il consenso puntando anzitempo alle elezioni. Dopodiché con un Partito democratico a propria misura (oggi le contiguità confindustriali sono notevoli nella componente bersaniana) potrà davvero mandare in soffitta la vecchia concertazione, declassata a consultazione da Mario Monti ma riesumata da Enrico Letta.

Così Squinzi si prepara lanciando ammiccamenti al segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: un asse “democratico” padroni-sindacati-sinistra per resistere al renzismo che verrà, già anatemizzato come riedizione del berlusconismo sul Sole 24 Ore, quotidiano di casa: “Per vent’anni Berlusconi ha ottenuto i suoi risultati elettorali promettendo di abbassare le tasse. Renzi si muove nello stesso solco. Domani vedremo se il gioco di prestigio ha probabilità di riuscita”. E’ qualcosa di più del legittimo lobbying per ottenere la riduzione del cuneo fiscale tagliando l’Irap. Lobbying andato buco; ma non è solo l’insuccesso a scatenare l’ira funesta squinziana, della quale avrebbe fatto da parafulmine la direttrice generale Marcella Panucci. Il capo degli imprenditori lancia una campagna ad ampio spettro, con una lettera al Corriere della Sera (“sarebbe interessante chiedere agli italiani se vogliono un lavoro o qualche decina di euro in più in tasca”), e un editoriale di fuoco sul Sole 24 Ore, “Le elemosine elettorali e l’emergenza italiana”, del direttore Roberto Napoletano. Già gli industriali scontenti della gestione Squinzi, e non solo tra quelli che nel 2012 appoggiarono Alberto Bombassei sconfitti per un’incollatura (93 voti di giunta a 82), notano un’amnesia: non si parla della restituzione totale dei debiti pubblici alle imprese, 80 miliardi che il concertativo Letta aveva centellinato. Ma la dimenticanza avrebbe un perché: tra i creditori prevarrebbero piccole e medie imprese estranee all’area Squinzi. Fatto sta che la priorità, sulla quale Confindustria aveva costruito una campagna, è scomparsa dagli schermi radar. E oggi, dopo aver chiesto l’allontanamento del Cav. (“fate presto!”), aver definito “una boiata” il tentativo di riforma del lavoro di Mario Monti, e digerito Letta – insomma aver pensionato tre governi – Viale dell’Astronomia si prepara alle barricate anti Renzi. Peccato che gli argomenti siano smentiti dai fatti. A cominciare proprio dall’Irap.

Non solo i posti di lavoro promessi da Squinzi: Confindustria cita uno studio di Prometeia per il quale una riduzione di 10 miliardi del cuneo fiscale produrrebbe l’aumento di un punto o mezzo punto di pil solo se mirata agli oneri sociali o all’Irap. Dal taglio delle imposte dirette verrebbe un modesto 0,3 per cento. Ma nel 2007 l’allora presidente confindustriale Luca di Montezemolo ottenne dal governo di Romano Prodi un taglio di cinque punti, ripartito 60-40 per cento tra Irap e Irpef. Trascurando che questa seconda parte non ebbe seguito, in che modo le aziende utilizzarono quel beneficio?

Un report del 2012 della Commissione europea evidenzia un crollo degli investimenti interni delle aziende italiane tra 2008 e 2009, a crisi mondiale non ancora esplosa, accompagnata a partire dal 2007 da una accentuata perdita di competitività. Situazione confermata e analizzata dalla Banca d’Italia: dopo il 2007 la produttività per valore aggiunto si riduce di cinque punti rispetto al 2005, calano le retribuzioni nette e aumenta la disoccupazione. Tendenza che si invertirà brevemente, osserva Bankitalia, dopo l’introduzione dei contratti aziendali flessibili non sottoscritti dalla Cgil. E a proposito di flessibilità, il Sole 24 Ore cita ampiamente le riforme Hartz attuate in Germania da Gerhard Schröder. Sorvolando sul fatto che a Berlino la contrattazione aziendale tra imprenditori e sindacati ha preceduto l’intervento normativo, è stato frutto di decisione autonoma delle parti sociali. E che il governo ha poi facilitato quel percorso; ha introdotto i mini-jobs, lavori temporanei da 450 euro, e il sussidio universale, con drastica riduzione dei vecchi ammortizzatori sociali. Esattamente ciò che la Confindustria, tanto più quella di Squinzi, e la Cgil non vogliono. FQ. 12.3.2014

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata