Abolire il Senato è una parola,

che forse ha anche sapore sovversivo

Dice Rino Formica: “Vogliono abolire il Senato. Bene. E se domani arriva uno che vuole abolire la Camera, e non farla più elettiva? Se arriva Grillo e decide di costituire la Camera dei fasci e delle corporazioni? Sarebbe costituzionale anche questo?”. E’ una provocazione, certo. Ma l’ex ministro socialista – e vecchio amico del presidente Giorgio Napolitano – con maliziosa intelligenza sembra voler svelare un trucco, un mistero, forse un pasticcio in cui si sta attorcigliando la politica italiana: la riforma del Senato, collegata a quella elettorale. Si può fare, davvero, come dice Matteo Renzi nei suoi tuìt? Ed è davvero così semplice? In Parlamento tira una strana aria, un po’ svogliata e un po’ sorniona, come dire: non prendeteci troppo sul serio. Una cosa sono le dichiarazioni pubbliche, la solennità degli accordi e delle strette di mano, altro la sostanza di questi accordi, di questi patti pronti a essere siglati e poi sciolti con l’agile ritmo d’una battuta (“stai sereno”). E d’altra parte, la riforma del Senato, con la sua presunta “abolizione”, è un mistero buffo. Non esiste una proposta, un articolato di legge, non c’è nemmeno una bozza, da nessuna parte, in nessun cassetto di Palazzo Chigi.

“L’articolo 139 della Costituzione”, dice Formica, “ha stabilito che la forma repubblicana dello stato non è modificabile. L’articolo 138, che stabilisce il metodo con cui il Parlamento può modificare il dettato costituzionale, riguarda i margini della Carta, non la sua architettura”. Dunque, si chiede Formica: “Siete sicuri che il Senato si possa abolire o radicalmente trasformare?”. La questione, in effetti, è controversa. Il professor Giovanni Pitruzzella, costituzionalista e già membro della commissione di “saggi” che Giorgio Napolitano volle costituire dopo l’impasse elettorale scaturita dal voto di febbraio 2013, sostiene che si può fare tutto. O quasi tutto. Dice Pitruzzella: “Se l’articolo 138 incontra dei limiti, questi riguardano i princìpi fondamentali della Costituzione. Per il resto si può modificare ogni cosa. Non si può, per esempio, abolire il Parlamento perché l’esistenza stessa del Parlamento è coessenziale alla nostra democrazia. Così come non si possono circoscrivere i diritti inviolabili. Tuttavia attraverso il procedimento previsto dall’articolo 138 della Costituzione si può benissimo passare dal bicameralismo al monocameralismo, e dunque ‘eliminare’ una delle due Camere. Per esempio il Senato. Io ho sostenuto, insieme con il professor Pietro Ciarlo, questa eventualità all’interno della commissione di esperti costituita presso il ministero delle Riforme istituzionali”.

Tuttavia ci sono delle conseguenze complicate. Più problematico è infatti il professor Nicolò Zanon, anche lui costituzionalista e membro della commissione dei saggi quirinalizi. “Sommessamente si deve far notare che Formica non ha tutti i torti”, dice il professore. “Nell’ipotesi di abolizione tout court del Senato, qualche problema di architettura costituzionale si pone. Il bicameralismo perfetto era stato visto dai costituenti come un limite al potere. Poco potere all’esecutivo, e due Camere anche per contenere il potere legislativo. Non si tratta di un passaggio neutro”. Ma Zanon spinge oltre i suoi dubbi. E dice:  “Anche solo la modifica delle funzioni e della composizione del Senato, è una cosa complessa. Modificare le funzioni del Senato implica delle conseguenze. Se elimini la fiducia, vanno cambiati anche gli articoli 70 e seguenti della Carta che prevedono il bicameralismo paritario; poi va anche modificato l’articolo 94 che prevede la fiducia nei due rami del Parlamento. Inoltre cambiano le regole per l’elezione del presidente della Repubblica, per l’elezione dei membri della Corte costituzionale, per l’elezione dei membri del Csm… E che si fa con i senatori a vita? Sarebbero incongrui in una Camera delle autonomie. Anche questo istituto andrebbe conseguentemente rivisto. Li trasformi in deputati a vita? E devono restare cinque anche se i deputati sono più dei senatori? E perché? Non è roba facile”. E infine si chiede Zanon: “Che senso ha creare una camera delle autonomie se tutti sono d’accordo per cancellare la riforma del Titolo V sulle autonomie?”.

E così Gaetano Azzariti, anche lui costituzionalista, un po’ dubita che si tratti di una cosa seria. “Non mi risulta ci sia alcun testo. C’è solo quello che ha detto Renzi su Twitter. Secondo lui, deve essere composto da sindaci, rappresentanti vari di autonomie locali, e da una pletora di nominati dal presidente della Repubblica. Ed è una follia. E’ irragionevole cercare di cambiare il Senato partendo dalla composizione, senza sapere quali sono le funzioni. Da anni si pasticcia con la Costituzione. La Carta si può modificare, ma c’è un obbligo di coerenza. E per essere coerenti le cose vanno studiate bene, sennò si fanno solo guai. Insomma ci vuole tempo e pazienza. Tanta”, altro che Twitter. (sm)

IL Foglio, 6 marzo 2014 - ore 16:12

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata