La caccia alle rendite finanziarie.Le nuove
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“streghe” sono i nostri risparmi. Attenti a rottamarli
I pozzi di San Patrizio della politica italiana – cioè le illusorie e misteriose riserve di ricchezza a cui tutti sperano di attingere per ridurre le tasse su lavoro e imprese – sono almeno tre: la lotta all’evasione, la patrimoniale e l’inasprimento del prelievo fiscale sulle rendite finanziarie. Quest’ultimo è stato proposto di recente dal finanziere renzian-londinese Davide Serra. Con la crisi e la ricerca di nuovo gettito da parte dello stato, abbiamo assistito all’esplosione della tassazione del risparmio: l’aliquota storica del 12,5 per cento è stata portata al 20 per cento per gran parte delle attività finanziarie (tranne che per i titoli di stato) e a ciò si sono aggiunte l’imposta di bollo e la Tobin tax. Quest’ultima ha avuto esiti a dir poco deludenti: il gettito 2013 si è attestato a 200 milioni contro il miliardo stimato dal governo, causa il crollo del numero degli scambi di titoli. Anche le aspettative sul gettito di una maggiore tassazione delle rendite finanziarie sono modeste (1,5 miliardi se si porta l’aliquota al 25 per cento), al netto peraltro di un possibile effetto depressivo, temuto da tutti gli analisti. Difficile dunque credere a uno scambio “più tasse sui titoli, meno cuneo fiscale”: una riduzione del 10 per cento dell’Irap comporta minori entrate per almeno 2,5 miliardi, un taglio dell’Irpef sui redditi medio-bassi non costa meno di 5 miliardi. Altri paesi europei tassano di più le rendite? Di poco, ma vero: l’Italia e le sue imprese hanno però bisogno di misure che stimolino il credito privato, non che lo deprimano ulteriormente. Ricordando, fuor di retorica, che dietro la caccia alle “rendite finanziarie” ci sono i risparmiatori. E che già Luigi Einaudi aveva sottolineato che tassare il risparmio significa imporre una doppia tassazione sul reddito, prima su quello prodotto e poi su quello messo da parte. Non se ne sente il bisogno.
Il Foglio, 21.2.2014