Bad Bank italiana
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Dal contribuente all’Ue, ecco gli ostacoli al piano
per ripulire i bilanci bancari. Parla Masera
“Se non riparte il ciclo dei finanziamenti alle imprese, la ripresa dell’economia si farà attendere, è inutile ripetere che ‘la ripresa è dietro l’angolo’”, dice al Foglio l’economista Rainer Masera, dal 1975 al 1988 direttore centrale della Banca d’Italia e poi nel 1995-’96 ministro tecnico del Bilancio nel governo Dini. E’ dal radicarsi di constatazioni simili, in fondo, che è stato rianimato in queste ore, ai massimi livelli istituzionali e poi nella pubblica piazza, il dibattito sulla “bad bank all’italiana”, cioè su un meccanismo per sgravare le banche del nostro paese dai crediti deteriorati, quelli difficilmente recuperabili. Questi ultimi ammontano in generale a 300 miliardi di euro su 2.100 miliardi di prestiti totali, mentre in particolare le sofferenze (cioè le esposizioni verso una controparte in stato di insolvenza) sono pari a 170 miliardi. Se le banche riescono a smaltire almeno in parte tale fardello – è il ragionamento – potranno ricominciare a erogare credito a un sistema ancora fortemente bancocentrico.
Il sasso nello stagno, sabato scorso, l’ha gettato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Dopo aver elogiato quelle banche italiane che stanno creando strutture ad hoc per razionalizzare la gestione dei crediti problematici (Intesa e Unicredit per ora), ha auspicato “interventi più ambiziosi, da valutare anche nella loro compatibilità con l’ordinamento europeo”. Qualcuno, all’inizio, ha pensato al modello spagnolo di bad bank: grazie ai finanziamenti europei, Madrid ha ricapitalizzato le sue banche e ha creato la Sareb per raccogliere i crediti in stato di insolvenza e cederli con calma. Due giorni fa il governo Letta ha però dissipato i dubbi: niente risorse nazionali o comunitarie per la bad bank, questo intendeva Banca d’Italia e così vuole l’esecutivo. Il treno dei finanziamenti europei sembra perduto, anche perché agli stessi è accluso un memorandum di impegni deciso da Bruxelles, e poi – dopo varie peripezie – si è deciso che i fondi europei peserebbero comunque sul debito pubblico nazionale. “Come dimostra una recente e discutibile lettera del commissario Ue Olli Rehn al Consiglio Ue, il finanziamento via Esm incontrerebbe quasi automaticamente enormi difficoltà sotto il profilo contabile e di finanza pubblica”, dice Masera, alludendo a un’ulteriore e occhiuta intromissione di Bruxelles nelle scelte italiane.
Quindi passi pure il paradosso per cui l’Italia ha contribuito per 55 miliardi ai fondi europei Efsf e Esm – ai quali la Spagna ha fatto ricorso – salvo poi scegliere lei stessa di non richiederli. Il punto è che qualsiasi cosa s’intenda oggi per bad bank, con l’Europa dovremo avere a che fare. La proposta elaborata da Masera è duplice, e non riguarda i soli “non performing loans”, ovvero i crediti deteriorati. “Innanzitutto sarebbe utile creare un meccanismo di securitizzazione – cioè di trasformazione in titoli obbligazionari – del numero più ampio possibile di prestiti erogati alle piccole e medie imprese, così che poi essi possano essere auspicabilmente scontati dalla Bce in cambio di liquidità o anche direttamente acquistati”. Poi c’è il fronte dei prestiti deteriorati. Secondo l’ex di Banca d’Italia, e in modo simile per gli analisti di Mediobanca, si potrebbe creare un veicolo che acquisti crediti in sofferenza di banche diverse per poi rivenderli a operatori specializzati: “L’idea è quella di attivare famiglie di fondi coordinati e specializzati, con il concorso in primo luogo delle banche. Le partite in sofferenza sarebbero cedute a società specializzate in cambio di quote di partecipazione e parzialmente di nuova cassa”. Insomma, il problema dei prestiti più pericolanti va gestito “in maniera unitaria e professionale”, e non da parte di chi ha erogato quei prestiti. Masera ha in mente l’esempio dell’Sga, bad bank che funzionò negli anni 90 per il Banco di Napoli e che lui stesso supervisionò. “Questi fondi, se gestiti da una società terza e consortile tra banche, attirerebbero certamente investitori specializzati: hedge fund, private equity fund o real estate fund. Soprattutto se i pacchetti di crediti saranno organizzati tenendo conto della dimensione delle banche coinvolte, del settore di erogazione di quei prestiti (Pmi o real estate, per esempio), del livello di rischio (distinguendo per intenderci tra ritardi e sofferenze vere e proprie)”.
Il ruolo di Banca d’Italia e governo
Secondo Masera, infine, questo modello di gestione sistemica dei crediti deteriorati “non può non avvenire sotta la guida della Banca d’Italia” e anche “con il sostegno del governo”. La prima può fornire le linee guida per incentivare “la terzietà” della gestione dei crediti e la “trasparenza” del meccanismo agli occhi della Bce. Il governo invece dovrebbe garantire quelle “modifiche normative” necessarie a snellire il processo di securitizzazione, “proponendo un allargamento di questo mercato a livello europeo”. Inoltre, “attraverso Cassa depositi e prestiti e Fondo di garanzia, l’esecutivo potrebbe predisporre, se necessario, forme di garanzia pubblica per le società veicolo”. Soltanto “con un meccanismo ben congegnato si riduce il rischio che le garanzie si trasformino poi in un onere vero per il contribuente”. Così la bad bank all’italiana, come ha scritto ieri Isabella Bufacchi sul Sole 24 Ore intervistando gli analisti di Dbrs rating, potrebbe perfino “avere un impatto positivo sul rischio paese”. Oltre, si spera, a contribuire alla riattivazione del credito all’economia reale.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Marco Valerio Lo Prete – @marcovaleriolp, 12 febbraio 2014 - ore 12:36