Solo qui Napolitano può essere golpista per

antiberlusconismo (il Giornale) e per berlusconismo (il Fatto).

Italia mia grottesca. Ve ne dico quattro

L’Italia è il paese che amiamo, d’accordo, ma è un paese grottesco. Solo qui può succedere che il mio amico Alessandro Sallusti dichiari Giorgio Napolitano golpista per antiberlusconismo e Marco Travaglio lo segua o lo preceda in tutto e per tutto, a parte il segno inverso: golpista per berlusconismo. Solo qui è possibile considerare una notizia da processo per alto tradimento della Costituzione la vociferazione vecchia e bacucca raccolta dal furbo Alan Friedman con tecniche da giornalismo coloniale: Napolitano ha visto Monti e si è consultato con lui, fuck, magari sul fatto che stava cadendo giù il tetto del teatro, tre mesi prima della soluzione Monti, cazzo, concordata con Berlusconi e Bersani controla mia augusta opinione di berlusconiano militante da sempre e per sempre, ma non completamente scemo, e ora va processato per attentato alla Costituzione più bella del mondo. Notizia farlocca, appena ridicola, interpretata dal mondo della destra ringhiante come la prova del tradimento e del ribaltone del novembre 2011, e interpretata dalla sinistra manettara e ringhiante come l’annuncio di tempesta per un presidente che ha osato sfidare quel bravo magistrato di Ingroia, e che ha salvato mille volte Berlusconi promulgando quelle che Travaglio chiama leggi vergogna, una dopo l’altra per anni e anni.

Il principio di non contraddizione (A non è non-A) non è mai stato il forte della politica arabescata a cui lo scenario nazionale ci ha abituati, ma qui si sta pazziando, la fessa è in mano ai guaglioni, e ora con questi argomenti da trivio e di menzogna palese sarebbe sotto accusa politicante, da destra e da sinistra estrema per motivi tra loro simmetricamente opposti, quel bravo vecchio comunista che ce l’ha messa tutta per mantenere un qualche equilibrio in un paese squilibrato, salvo l’anticchia di coraggio in più che avrebbe potuto avere nel dare al Cav. il colpo di grazia, nel senso della grazia tombale per una sentenza di condanna oscena. E il dottor Gribbels ci mette il timbro dei vaffanculo suoi e del signor Casaleggio, per sovrammercato.

Napolitano è sempre lo stesso, un comunista di formazione, e conosco il genere per essere stato comunista fino a meno di metà della mia vecchia e stanca vita, che fu eletto da una maggioranza prodiana presidente della Repubblica e ha sempre cercato di offrire come lascito politico la lealtà istituzionale, l’attivismo politico per la tenuta delle istituzioni, sia quando ha lavorato per impedire ribaltoni, quelli alla maniera di Oscar Luigi Scalfaro, un sagrestano di destra che ha invece gestito il Quirinale come il retrobottega di D’Alema e Dini, mentendo e imbrogliando, sia quando nei tempi di recupero della partita ha cercato di risolvere la crisi della maggioranza e del governo berlusconiani, largamente autoprocurata attraverso le cazzate fatte nel caso Casini prima e Fini dopo, con una soluzione tecnocratica, capace in principio di alcune riforme, che poi ha ceduto il passo alla rivincita della politichetta solita un po’ perché ad impossibilia nemo tenetur, se il paese è grottesco è grottesco, un po’ per la vanità del tecnocrate in chief.

Io che da quando l’ho conosciuto come editore e poi come politico ho sempre voluto bene a Berlusconi, e gliene voglio infinitamente di più da quando è stato condannato da un Esposito e giustiziato per i suoi innocenti peccadillos da una giuria di Talebane con i capelli ricci, ho passato invece la mia infima carriera di comunista a polemizzare anche molto aspramente con Napolitano, che secondo me era un capo della destra comunista riformista, alla quale appartenevo, troppo timido e opportunista. La lite fu pubblica e a più riprese. Ma quando ero sul banco del governo nel 1994, accanto a Berlusconi che aveva fatto il suo corso napoleonico e teneva il suo primo discorso sulla fiducia alla Camera, lo elogiai per aver stretto la mano platealmente, precipitandosi d’istinto sui banchi dell’opposizione, a quel comunista o postcomunista che aveva avuto parole di schietta legittimazione politica del fenomeno popolare rappresentato da Berlusconi. E lavorai invano per mandarlo in Europa come commissario, dapprima in accordo con Berlusconi, che poi come al solito si fece convincere dai falchi e falchetti, e dal calcolo corto, e ci mandò nientemeno che la signora Emma Bonino, una vera amica della ditta, una fanigottona che colleziona cariche per fare il nulla mentre Pannella si fa il culo in piazza.

Quando Sarkozy si fece la sua grassa risata di chi ride bene ma non ride ultimo, occupai piazza Farnese dove i miei amici della Roma radical-chic mi avevano invitato a un party dell’ambasciata, e standomene di fuori comiziai contro il presidente francese cazzone guadagnandomi la simpatia degli astanti, a colpi di De Funès e altri sberleffi, e l’attenzione dei camerieri e dei funzionari alle finestre. Non ho mai più messo piede in quell’ambasciata da allora e non conto di farlo in futuro, nonostante il 14 luglio a me in fondo caro (anche se fu l’inizio di quasi tutti i guai). Era l’ottobre del 2011, e Friedman dormiva della grossa. Poi venne il vertice G20 di Cannes e non fu necessario alcun complotto per  confermare l’isolamento diplomatico nel mondo di Berlusconi e dell’Italia popolare a lui fedele. Tra gli altri miei demeriti va ascritto l’aver preavvisato Berlusconi: fai fuori Fini in malo modo e ti ritroverai senza maggioranza. E l’avergli detto che Tremonti lavorava per il re di Prussia, cioè per restare in piedi da solo nelle macerie (cosa che puntualmente non è avvenuta perché al mondo c’è un giudice, oltre che la Merkel a Berlino). E l’avergli detto sul Foglio e nei teatri affollati, difendendolo a modo mio, altro demerito,  che doveva smetterla di fare l’imputato a tempo pieno, doveva fare il presidente del Consiglio e gli stati generali dell’economia perché arrivava una brutta crisi, glielo scrissi nel gennaio del 2010 sul Giornale e a seguito di un suo ottimo articolo per il Corriere, ben prima dell’estate delle quattro finanziarie e del delirio governativo. Poi a forza di cazzate perse anche Milano. Ora sento dire che lo spread fu un’invenzione, che ci fu complotto, che il chiaro assenso di Berlusconi alle proprie dimissioni concordate, e alla formazione del governo Monti, che parlava del Cav. come del suo venerato predecessore e lo invitava spesso a pranzo con scandalo dei manettari, tutto questo fu una macchinazione del comunista Napolitano. Non c’è limite al comico volontario e involontario. E io, scusatemi, rido allegramente. Anzi, ghigno con una certa amarezza. Ma la santa alleanza di Travaglio, Grillo e Minzolini mi riempie di letizia.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

Giuliano Ferrara

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