Tremonti, Il nuovo pamphlet dell’ex ministro

Per i popoli, per il populismo, contro gli eurocrati

La balla dell’Italia salvata da Berlino, il ritorno al 1500 (o a Weimar?), la camicia di forza dell’euro, la dittatura delle repubbliche digitali e il dovere di salvarci dai nuovi Metternich per i quali esistiamo solo su Google maps. I11 febbraio 2014 - ore 16:10l Foglio,

*Il testo pubblicato è un’anteprima della premessa al prossimo libro dell’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti

Questo libro ha alcuni principali obiettivi:

a) il primo è anticipato nel titolo: “Populismo”, ovvero la ragione dei popoli, la democrazia degli altri! Fino a poco tempo fa la minaccia che dall’Europa si rivolgeva all’Italia era: vi cacciamo dall’euro! Oggi, la minaccia è girata all’opposto: vi teniamo nell’euro! Prima, la grande maggioranza degli italiani era europeista. Ora quasi di colpo tutto, o quasi tutto ciò che non va bene è sentito come colpa ed effetto dell’Europa, con il suo euro.

L’euro, il cuore artificiale dell’Europa contemporanea. L’euro, una moneta che tanti oggi sentono come aliena e ostile. Come una moneta che toglie più di quello che dà. Come una moneta che all’estero vale molto, anzi fin troppo, ma che in Italia vale poco. Come una moneta che tanti sentono oggi un po’ come un killer venuto da fuori, un po’ come un mezzo per estinguerci come paese sovrano. Quali sono oggi i benefici e quali sono invece i malefici dell’euro, ovvero dell’“eurosistema”, come amano chiamarlo i suoi conduttori? In che modo restarci dentro, ma a condizioni e migliori delle attuali, o in che modo invece uscirne? E farlo o tentarlo, tutto questo, senza che anche solo l’avviare un’“exit strategy” sia come tentare di mettersi a cavalcare una tigre. Quali sono gli arcani misteri che stanno dietro l’euro? “Tutti coloro che hanno avuto il privilegio di tenere la penna per scrivere già la prima versione del Trattato di Maastricht hanno fatto in modo che un’uscita non fosse possibile. Siamo stati ben attenti a evitare di scrivere un articolo che consentisse a uno Stato membro di andarsene. Questo non è molto democratico, ma è una garanzia per rendere le cose più difficili, in modo che fossimo costretti ad andare avanti”. Chi l’ha scritto era, vedremo, uno che se ne intendeva. Tutto era ed è del resto coerente e allineato proprio con l’“illuminato” dictum di Goethe: “Il primo passo è libero, è al secondo che siamo tutti obbligati”.

Quali sono e dove sono dunque le forze economiche e politiche, interne ed esterne interessate, più che a farci uscire, a tenerci dentro? Nei due casi, tanto nel caso “out” quanto nel caso “in”, quel che è comunque sicuro è che non si possono fare i conti senza l’oste. Nei due casi – “out” o “in” – è dunque bene sapere che non basta avere ragione, perché quella dell’euro è una partita che non si gioca tanto sul campo del diritto, quanto e soprattutto sul campo della forza. E proprio per questo, tanto per restare dentro l’eurosistema in condizioni meno sfavorevoli rispetto a quelle attuali, quanto per uscirne, servono e servono insieme, e servono subito, sia un alto grado di sovranità nazionale, sia un alto grado di reale forza e capacità di governo. E non è che su questo campo oggi, in Italia, siamo messi proprio benissimo!

Come è nelle parole del nostro Inno c’è stato un tempo in cui gli italiani sono stati “calpesti e derisi”. Calpesti e derisi: un tempo simile è tornato o sta tornando. Qualcuno ancora ricorderà, al principio dell’agosto 2011, l’autoprofezia di Monti sulla “chiamata del podestà forestiero”. Fu proprio in questo modo che allora e di colpo siamo tornati al ’500, quando “si chiamava in aiuto lo straniero”, quando si pensava “Franza o Spagna purché se magna”. Il colpo di manovella fu girato proprio allora, con l’“illuminata” costruzione di una falsa “catastrofe” che di colpo avrebbe dovuto abbattersi sul nostro paese. Una falsa catastrofe perché, per essere chiari, e oggi è chiaro, allora non è stata la Germania, con altri, a salvare l’Italia. Ma, all’opposto, con altri è stata l’Italia a salvare le troppo esposte banche tedesche e francesi. Più in generale, come vedremo, allora a rischio non era comunque l’Italia, ma piuttosto l’euro nel suo insieme. E certo non per colpa dell’Italia.

L’euro, una moneta disegnata per la pace perpetua e tuttavia, una moneta nata da un matrimonio sbilanciato perché contratto solo per la buona sorte. Un matrimonio per cui il bene era la regola e invece il male, la crisi, l’eccezione non prevista. E tanti comunque, a partire da quell’agosto, hanno guadagnato o non hanno perso, nei loro bilanci bancari e nei loro bilanci pubblici, nelle loro posizioni di potere nazionale e nel portafoglio delle loro ambizioni personali. Guadagnato o non perso, stati e privati, soldi veri e vero potere: funzioni politiche egemoni sull’Europa e quote di mercato, ma anche abusivi e domestici ruoli para-sovrani ed effimere carriere politiche: dai migliori indirizzi di Berlino e Parigi, di Milano e Roma, per arrivare fino a chi in questo modo almeno per un po’ è finalmente riuscito a occupare l’agognata “suite” nel “Grand Hotel dell’Abisso”, per poi da questa lanciarsi, come in volo suicida. Tutto questo sempre fatto a fin di bene, si intende. E da alcuni italiani fatto per il bene dell’Italia e dunque per patriottismo, naturalmente!

Le nostre “élites”, da mesi e mesi piazzate nell’anticamera del peggio, dove finalmente potevano come bambini giocare a monopoli con il “capitalismo” e con la “democrazia”. Un monopoli giocato in forma a volte cinica, a volte infantile, mescolando la politica estera con la politica economica, considerando il “vincolo esterno” non come un modo per fare politica, ma addirittura come un mezzo sostitutivo della politica, in questo modo cercando appunto di compensare la propria debolezza con la forza dello straniero. Tanto poi il tremendo conto dell’esperimento, i connessi costi economici e sociali, politici e morali, l’avrebbero pagato e lo stanno ancora pagando l’Italia e gli italiani! Il debito pubblico che doveva scendere è salito. Il prodotto interno lordo che doveva salire è sceso. E non solo per cause materiali. Anche per i devastanti errori politici fatti dal governo “tecnico” e proseguiti nel suo “sequitur”.

Nel Dopoguerra non c’erano i soldi, ma c’era la vita. Oggi in Italia è l’opposto: non si compra, non si assume, non si investe. Una volta a fianco dei costi c’erano anche i ricavi, oggi ci sono solo i costi. Una volta si falliva per i debiti, oggi si fallisce anche per i crediti, perché il denaro fatto per circolare per difficoltà oggettive o per paure soggettive non circola. I consumi scendono, ma le bollette e le tariffe salgono. Oggi ci si presenta come un successo il fatto che lo “spread” è tornato “ai livelli del luglio 2011”. Prendendo per buono tutto questo, possiamo fare un bilancio: se l’allarme sullo “spread” finanziario era falso, è vero invece lo “spread” economico e sociale che è stato creato prima con lo spettro della “catastrofe” e poi con il “salva Italia”. E non solo è vero questo “spread” economico e sociale, è vero anche lo “spread” politico e civile che ne è derivato di conseguenza: chi semina vento, raccoglie tempesta! Del resto, come si dice sapientemente, sempre la democrazia è “in experimentum!”. Un esperimento, quello iniziato nell’agosto-novembre del 2011, che in Italia ha fatto della Costituzione italiana del 1948 una costituzione “vivente” che pare ormai di fatto regressiva sulle regole sulle forme e sulle pratiche persino rispetto allo Statuto Albertino del 1848. Del resto, in politica, il vuoto che si crea tende sempre a riempirsi. Anche se non necessariamente tende a riempirsi con il meglio!

Così che oggi, dopo quelli del ’500, stiamo ricalcando anche altri vecchi copioni tratti dalla nostra storia. Non solo quelli del ’500, quando si chiamava “in aiuto lo straniero”, anche quelli del ’600, quando per disperata consolazione si inventò nel nostro paese la “Commedia dell’arte”. E fu appunto così che allora apparvero le “compagnie di comici” e con questi le “maschere”: Pantalone, Pasquino, Arlecchino, Rosaura, Colombina. Ed è così che ora, esattamente come allora, sono tornati in Italia “sonettisti, avventurieri, ciarlatani e buffoni”. Così sul “seicentismo” e sulla nostra “commedia” un vecchio filosofo, Benedetto Croce. E tutta questa storia comica, ma a tratti anche feroce e crudele, per l’Italia e in Italia da allora durò a lungo, almeno fino all’800. Quando il cancelliere austriaco Metternich diceva del nostro paese: “L’Italia, solo una espressione geografica”. Oggi, ugualmente sprezzante, Metternich direbbe: “L’Italia: un paese che esiste solo su Google maps”!

Nel novembre del 2011 avremmo dovuto e potuto andare a votare, come del resto si fa dappertutto in Europa. I nostri problemi dovevamo e potevamo infatti provare a risolverli da soli, senza inventarne di falsi e comunque senza amplificarli. Come invece è stato ed è ancora, ad opera dell’internazionale della bugia e dei suoi tecnici di cartone;

b) è così che si arriva al secondo obiettivo del libro, che è poi quello di misurare sulla scala della forza, e dopo tutto questo, l’effettivo attuale grado di tenuta e di resistenza del nostro paese. Il ’500, il ’600 dicono poco, sono troppo lontani? La storia non si ripete del resto mai per identità perfette. Attualizzando un po’, si potrebbe notare che nel momento presente la realtà civile e politica dell’Italia ci si presenta simile a quella tipica della Repubblica di Weimar: a partire dalla caduta verso il basso del ceto medio, per arrivare alla disgregazione delle istituzioni. Caduta. Una caduta che non è frenata, ma anzi accelerata proprio dall’incapacità o dall’impotenza dei governi di nuovo tipo che dell’attuale andamento sono stati o sono, alternativamente, la causa o l’effetto. Disgregazione: oggi il “controvoto”, fatto sopra da un’astensione tanto massiccia quanto ostile e sotto da una protesta assolutista, supera e stringe come in una morsa il normale voto “governativo”. Un voto questo che è, o si vorrebbe poi a sua volta bipolarmente diviso e contrapposto.

Una nuova e diversa legge elettorale è certo necessaria, ma non è da sola sufficiente. Non c’è infatti una legge elettorale che sia da sola capace di produrre effetti magici. Se per esempio hai il 40 per cento dei voti espressi, ma con un’astensione pari a sua volta più o meno al 40 per cento, allora vuol dire che hai solo il 24 per cento dei voti reali! Vuol dire che così hai con te più o meno solo 2 italiani su 10, avendo gli altri 8 variamente contro. In questi termini forse vinci le elezioni, ma non vinci il governo. E di riflesso la tua effettiva “duration”, come governo, non supera quella di uno yomo. E un effetto-premio di maggioranza garantito dalla legge elettorale, da solo non basta. Perché? Perché i grandi problemi non si risolvono con i piccoli numeri! Serve dunque, oltre a una legge elettorale, anche qualcosa di più di una legge elettorale: servono gli elettori! Serve creare una maggioranza reale. E per questa serve un apparato di idee e di proposte mirato a rendere ancora più forti e attrattivi quelli attualmente in campo.

Ed è così che si arriva al terzo obiettivo; c) al principio del 1994 si favoleggiava in Italia l’esistenza di una “gioiosa macchina da guerra”, pronta per portare la sinistra al governo. Una macchina di questo tipo c’era davvero… ma dall’altra parte! Per un colpo della storia – la caduta della “Prima Repubblica” – e per un colpo di genio – di Silvio Berlusconi – è stato con quella vittoria che nel 1994 è apparso in Italia il centrodestra. Oggi, quasi venti anni dopo, nel centrodestra ancora si pensa e si spera che per tornare a vincere sia necessario e sufficiente il ritorno allo “spirito del ’94”. Questa idea del ritorno è certo ancora oggi ragionevole, ma da sola non pare più sufficiente. Troppe sono infatti, rispetto ad allora, le differenze sopravvenute.

Nel 1994 eravamo ancora “padroni a casa nostra” e padroni del nostro destino. Non c’erano la Cina e l’Asia a farci concorrenza. Non c’erano “internet”, l’“euro” e gli “spread”. Soprattutto, allora non c’era la “crisi”! C’erano ancora in Italia, e per gli italiani, la lira e la sovranità nazionale. Avevamo il terzo debito pubblico del mondo, tra l’altro senza avere la terza economia del mondo, ma nel mondo eravamo quasi i soli a essere davvero così indebitati e tra l’altro per lo più indebitati con noi stessi, e dunque senza concorrenza. Potevamo dunque liberamente fare o disfare le nostre politiche, giuste o sbagliate che fossero. Ora non è più così, che lo si voglia o no, che ci vada bene o no. Nella “Montagna incantata” il gesuita Naphta racconta la crisi che si manifesta nel sistema del pensiero, quando si passa da Tolomeo a Copernico, quando tutto comincia a ruotare, da un sistema chiuso e predeterminato a un sistema diverso e aperto: non il sole che ruota intorno alla terra, ma la terra che ruota intorno al sole. Qualcosa di simile è nel frattempo successo proprio nel rapporto tra l’Italia e il resto del mondo. Che lo si voglia o no, che ci vada bene o no, ma in questi ultimi venti anni, quanti sono gli anni che vanno dal 1994 a oggi, un mondo nuovo ha preso il posto di quello vecchio. Un’Europa “politica” si è sovrapposta alla vecchia Europa economica. Dopo tante terribili “riforme”, dopo tanti logorii e scricchiolii, il nostro sistema amministrativo e la nostra Costituzione hanno davvero cominciato a cedere. Non possiamo fare finta di niente, non possiamo illuderci che sia ancora tutto come prima. Da allora l’Italia non solo si è indebolita, ma è via via entrata, o meglio è stata attratta, in campi di forza prima mai visti. Ed è così che siamo entrati in “terra incognita”. Ed è su questo nuovo campo che oggi stiamo perdendo quote crescenti della nostra sovranità nazionale.

Per questo nel corso del libro, prima di formulare nuove idee e proposte, si espongono le ragioni per cui l’Italia si è indebolita al suo interno proprio quando forze nuove e gigantesche prima si addensavano al suo esterno e poi varcavano i suoi confini; d) è questa una esposizione che tra l’altro ci permette di riequilibrare la bilancia politica, tra sinistra e centrodestra. Un riequilibrio che è oggi necessario, per correggere gli effetti della distorsione informativa sviluppatasi in crescendo soprattutto negli ultimi due anni, per giustificare prima il governo Monti, poi il suo “sequitur”, infine l’odierna dittatura del tempo sprecato o distrutto. Perché dunque un riequilibrio tra le due parti? Perché oggi si tende a far credere che a partire dal 1994, e dunque da quando c’è, il centrodestra sia sempre stato al governo mentre, come sbianchettata, la sinistra finora non ci sarebbe mai stata! Si tende a far credere che il centrodestra abbia fatto tutti gli errori e la sinistra nessuno. Che il centrodestra sia il colpevole necessario e la sinistra invece l’innocente predestinato. Si tende a far credere che a sinistra si trovi tutto il bene e di qua invece l’opposto. Che il centrodestra sia stato e sia ancora e per sempre composto da “impresentabili” e la sinistra invece l’opposto: da una parte tutti perbene e dall’altra tutti permale. Non è esattamente così! Come vedremo, ed è un’altra cosa che finora è stata sistematicamente nascosta, c’è stato, e c’è stato proprio nella fase costitutiva e decisiva della Seconda Repubblica e cioè al suo principio, negli “anni 90”, c’è stato allora un decennio che per il nostro paese è stato tanto decisivo quanto negativo, un intero decennio che è stato integralmente dominato dalla sinistra! E’ stato infatti proprio qui, proprio durante questo decennio, che a seguito di riforme devastanti e di errori enormi fatti dalla sinistra hanno avuto origine e sviluppo le principali negative dinamiche che oggi stanno portando l’Italia allo sprofondo della sua crisi. E’ stato allora che lo Stato italiano non solo è stato decostruito, ma anche affiancato da uno Stato parallelo ancora più grande, così dando vita a un sistema di potere politico costoso e paralizzante e prima mai visto. Un sistema che è stato poi difeso con ogni mezzo e a oltranza proprio dalla sinistra, contro ogni tentativo di riforma, fino a ricorrere a un referendum costituzionale che solo ora viene rimangiato. Ciò è stato in particolare con i governi Prodi, D’Alema e successivi. Questi, con una serie micidiale di quattro leggi, hanno decostruito, privatizzato e mercatizzato e perciò raddoppiato lo Stato, per arrivare infine al folle cumulo del decentramento con il federalismo del nuovo “Titolo V” della Costituzione. Folle, questo cumulo, perché puoi decentrare uno Stato che però resta centrale. Puoi riformare uno Stato centrale, facendolo diventare federale. Ma non puoi fare le due cose insieme, come invece è stato fatto dalla sinistra! E poi ancora una serie di devastanti errori storici. La forzatura sui tempi e sui modi dell’ingresso dell’Italia nell’euro, fino alla “costituzionalizzazione” dell’Europa, introdotta nella nostra Costituzione, così da mettere le regole europee sopra il resto della nostra Costituzione. Il nostro, un caso unico in Europa!

In parallelo, la forsennata e ideologica spinta della sinistra, sinistra italiana compresa, spinta verso la “globalizzazione”, la terra promessa. Quando si demonizzava chi invitava alla prudenza, chi temeva per l’Europa il “fantasma della povertà”, chi per difendere la nostra produzione e il nostro lavoro chiedeva per esempio un po’ di dazi europei, come del resto hanno fatto ed ancora fanno, e su vasta scala, proprio nella patria del mercato, negli Stati Uniti! Non dimenticando infine quel passato prossimo che tuttavia non passa, quando la sinistra è stata concausa di quell’enorme debito pubblico che, a partire dagli anni 70, da allora seguita a generare e costituire la nostra maledizione nazionale. Perché è stato proprio il “compromesso storico”, di cui la sinistra è stata gran parte, che ha prodotto quella derivata e deviata “democrazia del deficit” che da allora, tanto come prassi di governo, quanto come universale “forma mentis”, ha fatto del nostro il paese più indebitato e più corrotto dell’occidente, minando infine alla base la nostra stessa Costituzione.

Nell’insieme è stato come se, pur partiti in tempi diversi, comunque quattro grossi camion (la “decostruzione” dello Stato, l’“euro”, la “globalizzazione”, la “democrazia del deficit”) fossero infine venuti a passare in contemporanea e a tutta velocità su di uno stesso ponte, un ponte che era già vecchio e che dunque già per suo conto era pericolante. Per effetto di ridondanza, il ponte sta per cedere e quasi di colpo. In specie, quel che si vuol dire in questo libro è che siamo entrati nella crisi mondiale essendo già in crisi in Italia! La crisi mondiale si è solo aggiunta alla nostra crisi nazionale. Qui non si vuole sostenere che le colpe sono state solo della sinistra. Ma seriamente si respinge l’idea opposta, che le colpe sono state solo del centrodestra. Anzi! E come ampiamente vedremo! E’ vero che ormai siamo arrivati al crepuscolo, quasi alla fine anche della Seconda Repubblica. Ma la vita politica prosegue e proseguirà, ed è anche per questa ragione che oggi non si accetta il fatto che la storia venga scritta solo dai (presunti) vincitori, sbianchettando quanto di decisivo e negativo per le sorti del paese, quanto di sbagliato è stato purtroppo per noi tutti fatto proprio dalla sinistra. Anche per questo si crede che questo libro serva per stabilire la differenza tra l’instaurare un “tribunale della storia”, e il tentare di gettonare una “lavatrice della storia”!

e) E poi ancora nel libro si parla della forze esterne che hanno varcato o stanno varcando i nostri confini nazionali. Non si può infatti guardare al futuro, se non si guarda fuori dall’Italia. Per cominciare non si può ignorare che sulla scena del mondo ha fatto il suo ingresso una nuova superpotenza: il mercato finanziario globale, la “repubblica internazionale del denaro”. Ancora pochi anni fa la massa finanziaria internazionale era grande più o meno 500 miliardi di dollari, ora è pari a circa 70 trilioni di dollari! Una potenza che non ha esercito, non ha confini, non ha regole, non riconosce diritti, non è soggetta a corti di giustizia, tende a trasformare le democrazie in oligarchie, non ha leader visibili e tuttavia, pur cresciuta ormai a dismisura e come un albero rovesciato, con le radici nel vuoto, fino a che c’è, questa nuova superpotenza comanda tutto su tutti: sugli Stati, sui governi, sui popoli. Certo, un albero fragile, un albero che è cresciuto all’incontrario, dall’alto invece che dal basso, dai rami e non dalle radici, fragile dunque per l’eccesso rispetto al tronco dei suoi rami e delle sue fronde. E del resto, se la storia non si ripete mai per identità perfette, tuttavia la bolla finanziaria che c’è adesso ricorda davvero e molto la “bolla della Louisiana” quando, dopo la scoperta delle Americhe, valicando con la fantasia gli antichi confini fisici e mentali, e percorrendo gli spazi atlantici, si creò una bolla la cui esplosione prima causò il fallimento della “Banca reale” e poi innescò la caduta dell’“Antico regime”, così aprendo la strada della “rivoluzione”. Ora c’è come una tregua. Ma prima o poi anche il processo in atto avrà una fine, e non bella, non pacifica. Ad esempio, quando avrà fine la liquidità finanziaria finora prodotta e distribuita senza limiti e senza regole, come alcool ad alcolizzati. O quando ne esploderanno gli effetti sociali, nella povertà creata dalla deflazione. O negli squilibri dei paesi “emergenti” nel mercato globale. Ma fino a che c’è, fino a che questo sistema c’è, suona la sua musica. E quasi tutti, Stati compresi, sono costretti a ballarla questa musica o comunque a tenerne conto nelle loro politiche. E non solo questo.

Il mondo nel suo insieme sta ormai entrando in una nuova storia: come nella profezia di Huxley (1932) stiamo tutti entrando in un “brave new world”. La nuova e superpotente “repubblica internazionale del denaro”, citata appena qui sopra, è infatti solo la prima avanguardia di una nuova generazione di potenze globali, di nuove “repubbliche”. E’ l’avanguardia delle “repubbliche digitali”. Repubbliche globali governate dall’alto verso il basso, dai padri fondatori e dominatori della piattaforma globale, il nostro nuovo spazio esistenziale. Oggi si dice che Google, Amazon, Facebook, Twitter, Yahoo, etc intenzionalmente violano o eludono le leggi fiscali degli Stati nazionali nel cui territorio operano. Non è un caso che la controversia si formi proprio nel campo delle tasse, perché nella storia tutte le rivoluzioni “costituzionali” hanno sempre avuto origine proprio dai casi delle tasse. Dal punto di vista di Google, Amazon, Facebook, Twitter, Yahoo, etc non sono loro che violano le leggi fiscali degli Stati. All’opposto, sono loro che si sentono ormai tanto forti da imporre agli Stati le loro “leggi”! Di riflesso, lasciando agli Stati solo la possibilità di adeguarsi! Avanzano in specie nel mondo e via via ci si stanno presentando nuove “repubbliche” che si modellano esse stesse e agiscono come Stati di nuovo tipo. E come i vecchi Stati tracciano le loro strade, sono mosse dai loro motori, già battono la loro prima moneta, costruiscono le loro comunità sociali, le loro istituzioni, la loro tipologia di consenso e di consumo, a partire dai siti di vetrina-vendita, questi nell’età del consumismo le nuove agorà. Come è stato nelle isole della Grecia, per la democrazia, come è stato tra i colli di Roma, per l’impero, oggi nel nuovo centro del mondo, sulla costa orientale degli Stati Uniti, davanti all’oceano Pacifico e all’Asia, stanno in specie emergendo forme nuove della politica. E non solo, perché in divenire e in arrivo non sono solo nuove rivoluzionarie forme politiche. La luce elettrica o le ferrovie sono certo state grandi “novità”, ma erano novità introdotte sul paesaggio. Quello che di qui in avanti sta prendendo forma è invece un “nuovo” tipo di paesaggio!

“Rivoluzioni delle macchine” ce ne sono già state, nell’800 e nel ’900. Ma solo nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro. La nuova “rivoluzione” è invece generale, non limitata ai luoghi di lavoro, estesa a ogni forma della nostra esistenza, e non è controllata. Anzi, è lei che ci controlla! Le nuove “repubbliche” tendono infatti a creare a loro immagine e somiglianza non solo un nuovo tipo di Stato, ma anche un nuovo tipo di uomo-cittadino-consumatore. Il controllo sistematico e di massa sui “metadati” dei nostri telefoni, è solo un primo esempio di influenza sulla nuova struttura possibile dei legami sociali. Dato che nella meccanica del divenire sono le funzioni che fanno gli organi, il linguaggio espresso nel ritmo istantaneo di messaggi trasmessi in serie di impulsi elettronici modificherà nel profondo il nostro stesso pensiero. Il termine finale di riferimento per tutto questo non sarà infatti la comunicazione, ma l’uomo in quanto tale: cosa ci si mette dentro, con la nuova tecno-medicina; come lo si fa funzionare in forma nuova e via via transumana. E’, tutto questo, un processo che è tanto difficile da decifrare quanto impossibile da fermare. E tuttavia questo libro è scritto un po’ anche come un manuale “romantico” per la conservazione della specie, essendo ormai arrivato il tempo per riflettere sul verificarsi dell’altra profezia, la profezia di Malthus, per cui l’uomo non dipende da una origine, ma è “origine” esso stesso, così che la tecnoscienza diventa la fabbrica del “post umano”. Ed in specie è scritto, questo libro, per reagire culturalmente e politicamente a tutto questo, per difendere il “tabernacolo” dei nostri valori, per conservare i nostri tradizionali legami sociali, per evitare noi tutti di venire isolati e sommersi, come solitudine nella moltitudine.

Nel nuovo mondo in cui stiamo entrando si può infatti trovare il bene, con i suoi schemi di continuo miglioramento, ma si può anche cadere, dal bordo dell’opposto lato, in una nuova barbarie. Qui in specie si seguita a credere che l’uomo, anzi la persona non è, e non può mai essere trattato solo come se fosse un accidente del caso. Si seguita in specie a credere che la vita non possa essere assorbita, sostituita o dispersa da Google. Si seguita a sperare che sulla tradizione e sulla storia non si possa schiacciare il tasto “reset”;

f) “Un re, una legge, un ruolo d’imposta”. Questo invocava nel ’700 il “terzo stato”, la nuova classe produttrice che voleva uscire dalla palude del Medioevo popolata da paralizzanti totem giuridici, per andare incontro al futuro in un mondo semplice basato sulla libertà e illuminato dalla ragione. Il re non li ascoltò. Al re tagliarono la testa. Basta andare un po’ in giro per verificare che oggi, in Italia, la situazione, il clima sono più o meno gli stessi. L’Italia non è un paese che ha una legislazione, ma una legislazione che avvolge tutto il paese e lo paralizza. Le “nuove leggi” fatte nel biennio 2012-2013 soprattutto per “rilanciare l’economia” si estendono su di una superficie piana che è circa pari a 40 campi di calcio. Un artigiano, un imprenditore, prima di mettersi a lavorare, anzi per poter lavorare, dovrebbero entrarci carponi per capirle, per capire nelle nuove norme cosa è nuovo, cosa è integrativo, cosa è sostitutivo di quelle vecchie norme. Quando si legge che “ancora mancano 852 provvedimenti per rendere operative le norme dei governi Monti e Letta” (Corriere della Sera, 24 gennaio 2014), ci si chiede qual è la reale differenza tra questa avanzata del fronte legislativo e il ritorno al Medioevo giuridico. Quando penalmente si incrimina e persegue chi “ruba le pigne nei boschi”, è come nel caso di quei “furti di legname” che più o meno due secoli fa condannarono alla fine nell’iniquità più odiosa il regime dell’assolutismo. Se non si vuole continuare ad arretrare fino a collassare si deve interrompere l’orgia legislativa in atto e di nuovo garantire la libertà: “Tutto è libero, nel campo economico, tranne ciò che è espressamente vietato”. Libera impresa in libero Stato! E non, come è ora in Italia, l’opposto: niente è libero, tutto è vietato, tranne ciò che è graziosamente permesso, ma tuttavia sempre incertamente oggetto di possibili revoche. L’“internazionale” iniziava con “compagni gran partito noi siamo dei lavoratori” e in “Bandiera rossa” si evocava “degli sfruttati l’immensa schiera”. Il mondo è cambiato: l’immensa schiera non è fatta dai lavoratori sfruttati, ma dai disoccupati!

Renzi, con il suo “Jobs Act”, sta dunque dal lato sbagliato della storia. Il problema sul lavoro e per il lavoro oggi non è infatti regolarlo per legge, con più flessibilità o con più garanzie, ma crearlo! E questo crearlo, meglio dello Stato e del “legislatore” lo sanno e lo sanno fare meglio le imprese e le partite Iva! E poi una fiscalità semplice per cui l’imposta consiste solo nell’imposta e non anche nelle attuali mortali complicazioni e servitù. Una fiscalità costruita unificando in un solo conto ed in un solo adempimento tutto quello che ogni anno deve il cittadino. Sarà poi il fisco, a valle, a calcolare e smistare il dovuto verso i vari enti pubblici destinatari. E poi, salva una sola addizionale superiore, riducendo a un’unica aliquota universale le aliquote di tutte le maggiori imposte. E’ infatti suicida fare finta di niente, fare come se tutto fosse ancora come prima e come tale potesse restare. E’ iniziata la fiera delle tasse: “Si è spezzata la catena Stato-territorio-ricchezza. Un tempo bastava allo Stato controllare il territorio per controllare la ricchezza, che nel territorio trovava il suo naturale baricentro, e dunque per esercitare il monopolio politico: battere moneta, garantire giustizia, riscuotere tasse. Ora non è più così: nella repubblica internazionale del denaro, non è più lo Stato a scegliere ‘come’ tassare la ricchezza, ma questa a scegliere ‘dove’ e per quanto tempo essere tassata. Dunque mentre Cipputi resta a pagare imposte personali, progressive e patrimoniali, le ‘élites’ del capitale, per ora, ma poi tanti altri, possono cominciare a considerare le tasse come una ‘commodity’, come una merce qualsiasi esposta e trattata nella grande fiera internazionale delle tasse. Mentre si balla intorno al falò delle vecchie tasse che vanno in fumo, dobbiamo cercare una nuova geografia fiscale e principi capaci di continuare realmente gli antichi ideali di giustizia. Caduta l’illusione che si possa incorporare il mercato nello Stato, è lo Stato che deve andare sul mercato. Come gli antichi sovrani battevano le campagne, si mettevano sui ponti, sulle porte e nelle fiere, così la tassazione”. Tutto questo è stato scritto nel lontano 1991. Oggi il caso di “Fiat Chrysler Automobiles”, incorporata in Olanda, contribuente in Inghilterra, ne fa capire il senso e lo fa con una certa chiarezza.

Se vuole conservare ed anzi fare crescere i suoi gettiti fiscali, ormai l’Italia deve mettersi a fare come fanno gli altri: non ingabbiare, ma liberare l’economia, e destinare alla solidarietà il maggiore, non il minore gettito così prodotto. Cercare di riscuotere ancora di più, con le tasse, è infatti un “boomerang”. Perché, nell’insieme, una strategia così radicale? Perché lo spirito del tempo presente è in sé ormai tanto rivoluzionario da non poter essere più affrontato con logica ordinaria. E’ per questo che ciò di cui oggi si parla, ad esempio, alla Renzi: “Una manovra da un punto di pil in meno di spesa pubblica, per ridurre le tasse sul lavoro… in 5 anni!”. Tutto questo, pur se necessario, è comunque iscritto in una logica politica che oggi non è più sufficiente. Non bastano più le “manovre” e “leggi di stabilità”. Il bilancio pubblico italiano già tende al “pareggio”. Ma il grave è che non basta più nemmeno questo! Non basta più perché nel mondo, a seguito della crisi, molti altri paesi hanno verticalmente aumentato la loro spesa pubblica e di conseguenza si sono sempre più indebitati e stanno sempre più indebitandosi. E tuttavia sono paesi molto più forti di noi nel piazzare i loro titoli di debito: parlano tra di loro la stessa lingua, usano gli stessi computer, dominano la stampa che conta, sono il luogo di incorporazione e di elezione delle grandi banche, dei grandi fondi di investimento, delle agenzie di “rating”, funzionano come recapiti della “finanza ombra”. Con la crisi e per effetto della crisi è infatti cominciata nel mondo la competizione internazionale sul mercato dei titoli pubblici. E questa è sempre più una competizione non uguale e non leale. E quando si tratta di piazzare i loro titoli di debito, gli altri paesi non ci mettono nulla a spiazzare gli altri più deboli! In questi termini è evidente che il mercato non solo è cambiato, a partire dal 2008, e cioè a partire dall’esplosione della crisi, ma in specie è cambiato e in peggio per noi!

Senza ripudiarlo, senza metterci sopra una patrimoniale che sarebbe tanto stupida quanto suicida, senza illudersi che sia possibile abbattere il debito pubblico con rituali “voodoo”, il nostro pur enorme debito pubblico lo si può comunque mettere in sicurezza. Vedremo come farlo: con il suo “rimpatrio”. Ne vedremo, nel corso del libro, le forme tecniche di attuazione. E’ comunque, quello del “rimpatrio”, un piano realizzabile perché l’Italia è un paese che “importa” debito, emettendo sul mercato internazionale i suoi titoli di debito, ma è anche e ancora un paese che in quantità ancora maggiore “esporta” i suoi capitali! A titolo puramente indicativo, a questo proposito: ogni anno gli italiani acquistano più di 40.000 case… all’estero! Il vero “patriottismo” lo devono e lo possono dunque fare gli italiani, nel loro insieme e nel loro interesse, facendo l’investimento più sicuro e più redditizio che possono fare. Non l’investimento all’estero, così spesso finanziando proprio la speculazione contro l’Italia, così mettendo a rischio quello che hanno comunque (lasciato) in Italia, così bruciando dunque i ponti alle loro spalle. Ma l’investimento in Italia sull’Italia. E del resto, se alla fine non ci crediamo noi, perché dovrebbero crederci gli altri? Se non si fa questo, si costruisce sulla sabbia. Solo se si fa questo si può invece costruire sul solido. Quando il primo speculatore finanziario internazionale che dà un’occhiata allo schermo del suo computer ci può guadagnare sopra ricattandoci; quando il primo politico straniero che passa ti può rinfacciare la condizione del suo “debitore”, allora è chiaro che c’è solo questo che conta: mettere in sicurezza il nostro debito pubblico! Tutto il resto sono chiacchiere, buone per quei “talk-show” che nel tempo presente sono divenuti il luogo geometrico di concentrazione della tragica superficialità della politica italiana.

Per fare tutto questo, è evidente, serve un governo che ha la fiducia degli italiani, che genera fiducia, che attiva fiducia. E’ per contro evidente che, senza sicurezza nazionale sul nostro debito pubblico, non c’è futuro per l’Italia, se non l’alta probabilità delle procedure “europee”, della Banca centrale europea, del Fondo monetario internazionale: un futuro fatto a “Troika”! Il compito che deve svolgere chi oggi vuole governare l’Italia non è, e non può dunque essere diverso da quello svolto a suo tempo dalla “destra storica”. Ora come allora, sul cielo e sul destino dell’Italia si stanno infatti e di nuovo incrociando politica e finanza, questione nazionale e bilancio pubblico. La storia si sta ripetendo, oggi proprio come negli anni che seguirono l’unità nazionale, dal 1861 al 1876. Allora in gioco era l’unità nazionale e la “destra storica” la difese raggiungendo il “pareggio di bilancio”. Ora, ed è più o meno lo stesso, è in gioco la nostra sovranità nazionale e l’unico modo per difenderla è appunto quello del “rimpatrio” del nostro debito pubblico e così della sua messa in sicurezza. E, dunque, o rassegnati a subire o decisi a cambiare. O padroni in casa nostra o colonizzati dall’estero, perché ricattati debitori dell’estero!

g) La sicurezza nazionale sul nostro debito pubblico è necessaria, ma non sufficiente. Serve poi anche una strategia nazionale fatta da idee e proposte per colmare il terribile “deficit” di presente e di futuro di cui oggi noi tutti soffriamo. E’ proprio per questo che servono anche e con urgenza nuove idee e nuove proposte. Nuove idee e proposte tanto generali quanto particolari, tanto a presa rapida quanto a più lungo ciclo di applicazione, italiane ed europee. In particolare, in attesa che nel paese di nuovo si formi anche dal lato del centrodestra un più forte “hardware” politico, in questo libro si prova a scrivere una parte del suo “software”: cosa è, e quanto vale, e quanto è ancora decisiva nel tempo presente la sovranità nazionale; una “visione” patriottica del nostro paese; un radicale conseguente piano di azione, dal “rimpatrio” del nostro debito pubblico fino all’importazione in Italia delle migliori riforme tedesche, a partire dai contratti di lavoro “aziendali”; l’abrogazione radicale delle tremende riforme degli anni 90, queste le maggiori reali e pure ancora oscure cause del nostro male; una fiscalità semplice e per questo avveniristica; infine il principio per cui per le imprese “tutto è libero tranne ciò che è espressamente vietato”. In questi termini potrebbe anche essere che sia proprio il “software” a determinare l’“hardware”. Come è stato del resto scritto: “Sono le idee che determinano i fatti!” (Heine);

h) farlo, tutto questo, non è certo facile. Non è facile perché l’Italia che ci appare è oggi come pervasa da un male diffuso e quasi metafisico. E’ in specie il riemergere in forme nuove dell’antica dividente maledizione, come tra Guelfi e Ghibellini, “pro” o “contro” Berlusconi. E’ tutto questo, o è anche qualcosa di più, è qualcosa di diverso, qualcosa di demoniaco? Forse è anche questo. Ma il buttarla sul sovrannaturale sarebbe una tendenza tanto liberatoria quanto inutilmente autoassolutoria. Non serve a niente buttarla sul “mysterium iniquitatis”, come si è fatto finora, cercare dove c’è il bene e dove c’è invece il male. Se questi siano o no due separate parti del paese, una parte sinistra e una parte destra, una parte benedetta e l’altra colpevole. Ovvero pensare che dentro ciascuna parte ci siano congiuntamente il bene ed il male, la grazia e il peccato, la giustizia e l’ingiustizia, il crimine e l’onestà, Babilonia e Gerusalemme. Su tutto questo si può discutere all’infinito, ma comunque è un esercizio che non porterebbe da nessuna parte. Dobbiamo e possiamo invece uscirne, uscire da tutti questi paralizzanti luoghi del pensiero e farlo, come si farà nel corso di questo libro, formulando appunto nuove idee e nuove proposte;

i) va infine notato che dallo sviluppo di questo libro emergeranno alcuni segreti. Si diceva una volta della Russia: un paese dove tutto è segreto, ma niente è ignoto. Oggi per l’Italia vale il contrario: niente è segreto, ma molto è ancora ignoto! I segreti si possono svelare in due modi. Il primo è quello di portare alla luce fatti prima ignoti. Il secondo è quello di collegare tra loro fatti già noti, portandone poi così alla luce il senso complessivo. Come si dice nelle comunità di intelligence, forse proprio questa è la vera “intelligence”: non solo venire a conoscenza di cose prima ignote ma anche, anzi soprattutto, collegare tra loro e nel loro senso complessivo cose che prima erano già note, ma l’una separata dall’altra. Entrambi i modi confermano comunque l’antico detto: tutto ciò che è stato sepolto, prima o poi riaffiora in superficie! Nel primo modo, in questo libro si portano alla luce fatti finora nascosti. Nascosti adducendo la “ragion di Stato”, nascosti grazie alla forza o per la paura di chi li ha posti in essere. E per tutto questo finora confinati tra gli “arcana imperii”, tra gli “interna corporis”. Ad esempio, si porta alla luce la storia di come l’Italia è entrata nell’euro, che prezzi sono stati via via pagati e che “impegni” sono stati allora assunti per entrarci ed in specie, e da ultimo, cosa c’è dietro il caso dei segretissimi derivati “per l’Europa”, i contratti stipulati dai governi italiani negli anni 90, prima per “cucinare” i nostri conti pubblici e poi per entrare nell’euro. Proprio come poi avrebbe fatto la Grecia. E’ questa una storia che solo ora sta affiorando, perché ne stanno emergendo i costi finora nascosti. Un altro esempio: si portano alla luce le ragioni e il testo originale della lettera che il 5 agosto del 2011 Monsieur Trichet ha inviato al governo italiano. Altri segreti: cosa è successo a Cannes il 3 novembre 2011, durante il G20 a presidenza Sarkozy, quando in forma davvero molto rispettosa della nostra democrazia “nei corridoi già si sentiva parlare di Mario Monti” (così nel libro verità di José Zapatero). E poi c’è anche l’altro modo, per svelare i segreti: quello del collegamento tra fatti già noti. Ad esempio, come si sono manifestati, collegati e infine di riflesso sviluppati a valanga tutti i fatti che alla fine hanno portato a quei due “dolci” colpi di Stato che in Italia hanno serialmente marcato la caduta tanto della Prima quanto della Seconda Repubblica.

di Giulio Tremonti

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