La dittatura unisex. Prima era la natura a stabilire

l’identità sessuale: l’umanità si divideva in maschi e femmine,

Yin e Yang, Animus e Anima. Quel tempo è finito. Ecco come

Pubblichiamo l’introduzione al libro “Unisex – La creazione del mondo senza identità”, appena uscito per i tipi di Arianna Editrice (pagine 120, euro 9,80). Zarelli, editore e saggista, si occupa principalmente di ecologia e di cultura delle nuove sintesi.

Le ragioni di questo libro, scritto da Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta per questa casa editrice, si possono desumere dalla cronaca (…). L’ultimo episodio – al momento di questa scrittura – si svolge presso il liceo Mamiani di Roma. Dopo le aspre polemiche sorte a Venezia, lo storico istituto capitolino – quello di “Porci con le ali”, il simbolo studentesco del Sessantotto nella capitale – abolisce le espressioni “padre” e “madre” dal libretto delle giustificazioni, per imporre le diciture “primo genitore” e “secondo genitore”. In questa crisi epocale del liberal-capitalismo, nel nostro paese la scuola italiana cade a pezzi, il degrado del principio dell’autorità pedagogica e della trasmissione del sapere non ha più freni e l’insegnamento è ridotto a una specie di presidio eroico contro (…); tuttavia il collegio dei docenti e la dirigente scolastica del liceo romano hanno come priorità quella di apporsi il fregio gay-friendly sul cappello frigio dell’individualismo e dell’atomismo sociale. A fare da apripista, era stato il comune di Bologna con i moduli di iscrizione alle scuole di vario grado, ma i media avevano già ampiamente banchettato, a partire dai rigatoni della Barilla.

Abbiamo atteso che si sviluppasse per intero la rettifica “correttiva” ad opera del “regime liberale del politicamente corretto” nei confronti di Guido Barilla, il presidente della multinazionale alimentare di Parma, reo di avere fatto “incautamente”, nel programma radiofonico “La Zanzara”, una semplice e apparentemente banale affermazione: “Sono per la famiglia tradizionale, non realizzerò mai uno spot con i gay”. Non che ci volessero doti oracolari, ma di fronte al lato autoritario e prescrittivo del presunto “liberalismo”, l’imprenditore della Barilla non poteva che percorrere tutto il percorso dell’autodafé fino alla completa palinodia. Ormai il linguaggio della correttezza ideologica è unificato: lo condividono le grandi maggioranze conformiste, è una seconda pelle della cultura occidentale. Dopo le pubbliche scuse, è arrivato il riorientamento fattivo del logo aziendale con tanto di “albo delle inclusioni” e istituzione del Diversity & Inclusion Board, composto da esperti esterni indipendenti che “aiuteranno” Barilla a stabilire obiettivi e strategie concrete per migliorare lo stato di diversità e uguaglianza tra il personale e nella cultura aziendale, quindi anche promozionale, in merito all’orientamento sessuale. E’ chiaro che la schizofrenia comportamentale del manager depone per la falsità all’origine o nella conclusione della storia. Alla coscienza dell’uomo e al giudizio dei lettori stabilire quali delle dichiarazioni da lui fatte rispondano ai suoi intimi convincimenti. Per quanto ci riguarda, era invece scontato che l’imprenditore si sarebbe adeguato e piegato all’utile: il profitto aderisce al modello sociale consumistico, strutturato sul conformismo. La famiglia del “Mulino Bianco”, quale feticcio reificato, spiega la scissione radicale nella coscienza dell’imprenditore: da un lato – per vendere i suoi biscotti – vorrebbe a colazione papà, mamma e prole; dall’altro, ha piena parte nella commedia del declino edonistico, che produce la disgregazione del principio naturale e antropologico della famiglia tradizionale. Barilla, insomma, poiché è un ingrediente dell’amalgama della modernità, se lo sono cucinato in pochi minuti: il tempo di cottura di mezzo chilo di fusilli. Anche in quest’ottica, destra e sinistra si rivelano pienamente interscambiabili: l’anticomunitaria e globalista “destra del mercato” detta le regole economico-finanziarie, mentre la “sinistra del costume” fissa i modelli e gli stili di vita funzionali alla riproduzione del sistema economico totalitario, in cui il “politicamente corretto” – che impone il regime culturale – non può sopportare la ragione naturale e il senso comune.

Nell’èra dell’egualitarismo coatto, ogni oppositore alle nozze omosessuali è naturaliter un omofobo, e chi cede il posto a sedere a una donna incinta è un sessista. Per finire nel registro degli indagati del “politicamente scorretto” non serve fare qualcosa di sbagliato, basta farselo venire in mente. Bisogna cioè vergognarsi di affermare in pubblica piazza ciò che è sancito dalla Costituzione repubblicana – anche per chi non la considera certo la “migliore del mondo” – per la quale la famiglia omosessuale semplicemente non esiste: c’è una sola famiglia, che è “una società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29), finalizzata a “mantenere, istruire, educare i figli” (art. 30). Nessuna discriminazione, nessun incitamento all’odio e alla violenza riscontrabili come patologia sociale, ma grazie alla legge sull’omofobia dell’operoso Parlamento italiano, per sillogismo ipotetico, sarà un crimine la constatazione che la famiglia è fondata sul matrimonio tra uomo e donna. Si tratta di un articolo, relativo all’estensione all’omofobia e alla transfobia, a integrazione della legge Mancino del 1993, che condanna l’istigazione alla violenza per motivi religiosi, etnici e razziali con pene più severe rispetto all’articolo 61 del Codice penale sulle aggravanti comuni. Questo nuovo articolo stabilisce dunque le norme relative alle discriminazioni sull’identità sessuale, equiparando l’omosessualità al razzismo e considerando, di conseguenza, gli omosessuali una specie di “razza” a parte dell’umanità, da tutelare. Come se non fosse già sufficiente l’universale e autorevole articolo 3 della medesima Costituzione (riguardante il principio di uguaglianza formale e sostanziale), che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. La legge appena approvata, però, non si limita a questo; discrimina anche chi ha un parere diverso: potrebbe infliggere una condanna tanto a una mamma che suggerisse a sua figlia di non sposare un bisessuale, quanto a un padre che decidesse di non affittare una casa di proprietà al figlio perché sa che egli vuole andarci a vivere con il proprio compagno; oppure a chi, ad esempio, per motivi religiosi si attenesse alla parola della Bibbia: “Con un uomo non avrai rapporti come si hanno con una donna: è un abominio” (Levitico, 18,22). Lo scopo è molto semplice e non ha nulla a che vedere con il volere difendere i diritti individuali di omosessuali, transessuali e altri: si tratta di un passo avanti verso l’omologazione assoluta e irreversibile del pensiero unico e allineato, in cui pochi decidono come debbano pensare tutti, pena la galera.

In una società non omofoba si vuole imporre l’omofilia. L’uniformizzazione, la reificazione individualistica, la tirannia economica giungono all’esito ultimo dell’anodino edonistico, sottratto alla condizione naturale che caratterizza la differenza di genere. La sofisticazione distopica e suicida della civilizzazione plasma l’essere vivente come artificio desiderante, privo di identità ontologica. In Germania, è stato abolito l’obbligo di definire il sesso alla nascita, mentre tutta l’Europa dibatte sulla nuova definizione familiare: “genitore 1” e “genitore 2”. La Svezia, uno dei paesi più all’avanguardia per quanto riguarda la rivoluzione dell’egualitarismo dei sessi, sta approvando a livello anagrafico l’utilizzo di nomi neutri per i nascituri, in modo che non si creino problemi qualora un domani questi volessero cambiare sesso. La politica dei progressisti si preoccupa dell’eliminazione delle toilette separate, mentre i marchi d’abbigliamento vogliono abolire la distinzione “bambino” e “bambina” a favore del capo unisex. Si profila un mondo in cui la “persona” in quanto tale non esiste più, in cui ogni sorta di “identità” è abolita e l’individuo è perfettamente amorfo e “resettato”, naufrago solitario in un oceano di non-senso: un uomo a un’“unica dimensione”, come direbbe Herbert Marcuse, emancipato dalla propria natura e identità psicofisica. Secondo l’ideologia di genere, infatti, tra il maschio e la femmina vi sarebbe un numero indefinito di altri “generi” od “orientamenti sessuali”, che comprenderebbero, tra l’altro, l’omosessualità maschile, il lesbismo, la bisessualità e quant’altro; generi, che sarebbero “naturali” quanto l’eterosessualità. Secondo l’Associazione Psichiatri Americani, ad esempio, la pedofilia sarebbe un “orientamento sessuale” come gli altri; i sessi, infatti, non sarebbero un’evidenza presente archetipicamente alla nascita di ogni essere, ma una “preferenza”, indotta dal desiderio individuale con cui la persona percepirebbe se stessa a partire da condizionamenti genetici o culturali. In questo senso, la visione della sessualità diventa “fluida”, priva di attinenza caratteriale e dell’attrazione per reciprocità propria della differenza tra il maschile e il femminile. L’ideologia di genere imposta sulla natura della realtà, pertanto, fa collimare tetramente il nostro mondo con quello descritto nell’angosciante e preveggente distopia descritta da Aldous Huxley ne “Il Mondo Nuovo”, dove l’essere umano, privato di tutta l’eredità del passato, vive in un immobile presente svirilizzato in cui ogni aspetto della vita è omologato fin dalla nascita, la riproduzione è realizzata artificialmente e disgiunta dal sesso e ogni aspirazione personale, ogni creatività e ogni spiritualità è “annegata” nella droga (il soma) o nel piacere sessuale, sia etero che omo, praticato senza limiti di età e di norma. L’unisex è il vagito rauco dell’amorfo. Lo stilista e attivista gay Rudi Gernreich affermò che “in futuro gli abiti non saranno più identificati come maschili o femminili”, e questo proprio perché l’educazione istituzionale difende l’impossibilità di operare una qualsiasi distinzione. Nel corso di poco più di un secolo le sperimentazioni tecniche della moda, in risposta alle esigenze di una società in rivolta con se stessa, hanno rivoluzionato i costumi di una civiltà, quella occidentale, da sempre fondata sul valore della famiglia, sull’idea di unione tra l’uomo e la donna, sulle virtù di cui l’uno e l’altro sesso si sono fatti storicamente portatori. Nell’attuale èra della post-storia, ovvero nel presente paradigma oltre-storico perché totalmente scisso da un senso di continuità con il passato teso verso il futuro, ogni valore è destinato a frantumarsi. Un fenomeno, questo, di generazione in generazione più frequente, a causa del moderno tenore di vita scandito dalle innovazioni tecnologiche, dal clangore della superficialità edonistica e dall’allontanamento progressivo dell’essere umano dall’ambiente naturale.

Scriveva Gilbert Keith Chesterton che sarebbe venuto il giorno in cui, per chiamare “pietre” le pietre, bisognerà sguainare la spada. Terra e cielo, buio e luce, morte e vita, vuoto e pieno, acqua e fuoco, freddo e caldo, maschile e femminile, ragione ed emozione, cielo e terra, uomo e donna, conscio e inconscio, Animus e Anima: questi sono alcuni degli aspetti yin e yang, che sperimentiamo in natura; essere consapevoli della polarità della realtà ci aiuta a partecipare al movimento costante dell’universo, e finché siamo connessi con questo flusso siamo collegati al respiro stesso del Cosmo, siamo in equilibrio.

Cosa sono e cosa rappresentano, le diversità che si attraggono e si respingono nell’eterno gioco cosmico della vita? Per Carl Gustav Jung, l’opposto o, meglio, la complementarietà per eccellenza, la dualità in cui ogni cosa è parte di un’altra, la contiene e nel contempo le appartiene. L’Anima, femminile, aggraziata, feconda come la terra, attraente come la luccicanza, accogliente come una madre, sensibile nel dramma, sacra come una donna; l’Animus, maschile come un seme, implacabile come la tragedia, forte come un padre, sicuro come un uomo: sono questi, i princìpi archetipici insiti nell’essere umano, presenti in ogni cultura e spiritualità, che rappresentano gli elementi della psiche, il calco caratteriale che eroticamente suscita l’attrazione tra il maschile e il femminile per ricomporre l’unità nell’Androgino primordiale. Ogni bambino interiorizza l’esperienza della sua Anima grazie alla madre e l’esperienza del suo Animus grazie al padre: sono queste immagini, che a loro volta contengono le immagini dei padri e delle madri passati, a guidarci nella vita, che oltrepassa il contingente e ci segna in un respiro di profondità cosmica. L’Animus e l’Anima rappresentano, per Jung, il maschile e il femminile insiti nella psiche di ogni essere umano. Come dice Aldo Carotenuto, “Jung definisce Anima l’immagine del femminile che ogni essere umano di sesso maschile ha interiorizzato, mentre definisce Animus l’immagine del maschile che ogni essere umano di sesso femminile ha interiorizzato”. L’androgino platonico, ancestrale, come inconscia aspirazione alla completezza perduta. Quella nostalgia dell’eternità che, grazie all’eros, opera la condizione umana come realizzazione dell’essere, della forma nella materia, della struggente bellezza della gratuità del vivere oltre se stessi, nella grazia e nel mistero dell’ineffabile. La vita saggia, giusta, misurata si sviluppa attorno a un compito specifico: da un lato, trattare faccende sociali nelle relazioni umane e, dall’altro, essere parte dell’universo mantenendo un contatto diretto con la natura e con il cosmo. In questo modo, vivendo il Tao – la Via – si partecipa al limite e alla compiutezza del reale, ove l’essere umano è al centro del cosmo e il cosmo al centro dell’essere umano. Macrocosmo-microcosmo, antitesi e complementarietà, come parte dell’esistenza e fondamento della vita come manifestazione spirituale: una cultura, quindi, che si ricompone empaticamente con la natura e sa distinguere tra l’identità e la preferenza, ma non ne inverte certo la gerarchia in favore del caduco e pulsionale ego individuale. La difformità dalla norma naturale, quando c’è, va accolta con il rispetto dovuto alla scelta individuale e al travaglio della prova interiore, non certo la sua legittimazione nell’ordine sociale che si fonda sul rito e sulla compiutezza della forma sulla materia.

Lunga e interminabile è l’heideggeriana “notte del mondo”, in cui gli Dèi hanno abbandonato il mondo, e la minaccia di un inverno senza fine sembra oggi sottrarre all’uomo ogni possibilità di significato. In questo scenario e abitando tali luoghi desolati, in cui mancano rituali e parole adatte, e in cui i vuoti sono gli spazi lasciati dal sacro, è necessario ritrovare il senso dell’incontro con l’essere, una epistrophé che riscatti il nichilismo, nella consapevolezza confuciana che “quando le parole perdono il senso, le persone perdono la libertà”.

di Eduardo Zarelli, febbraio 2014 - ore 15:30

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