Ve la do io l’America, pataccari. Abbiamo detto

che c’è qualcosa (di grave) che non va nel noir scritto intorno

a Riina e scagliato su Napolitano e Berlusconi. Spacciatori di balle antimafia ci redarguiscono, ma non sanno rispondere alla domanda definitiva

Riassunto. Ieri qui abbiamo scritto che c’è qualcosa che non va nella messinscena dilagante sui giornali e in tv dei colloqui in carcere di Riina con questo Lorusso. Il noir scritto dal capo mafia, per la penna di un agente provocatore e dei trascrittori di conversazioni che risultano ad hoc, dovrebbe essere letto da una commissione di indagine parlamentare o dal ministro della Giusizia (silenzio tombale: paese pusillo). Anche secondo i suoi tifosi infatti, che pensano di trarre vantaggio dalle registrazioni dei colloqui per le loro battaglie giudiziarie e politiche, Alberto Lorusso non è un criminale e basta, un interlocutore come un altro dell’ora d’aria del capo dei capi: il sospetto (non solo mio, ma anche e sopra tutto loro) è che abbia fatto il lavoro sporco per conto di un pezzo dello stato (apparati: polizia, magistratura, funzionari del sistema delle carceri, chissà). Sta di fatto che il risultato di questo lavoro è noto: Riina cerca di distruggere Napolitano parlandone bene, da corazziere che ammira la sua determinazione contro il pm Nino Di Matteo, il superstite inquisitore dello stato mafioso dopo l’ingloriosa fine di Antonio Ingroia; un colpo va a Berlusconi, inscritto vagamente nell’area Andreotti-collusioni (ma nel ruolo di “formichina”); infine e innanzitutto Riina concede a Di Matteo la palma del suo peggiore nemico, ne fa, minacciandolo di morte e dandogli di cornuto, un monumento dell’accusa nel momento in cui si svolge il processo incerto e debole dal punto di vista dell’impianto accusatorio sulla cosiddetta “trattativa”.

L’animatore del giornale ufficioso delle procure, Marco Travaglio, e un ex magistrato torinese svagato che indossa il papillon con la disinvoltura di una toga, e viceversa, Bruno Tinti, ci hanno ieri ovviamente redarguito a dovere con un argomento-chiave che sarà il lettore a giudicare. E’ vero, dicono, Lorusso è ambiguo e potrebbe essere finito lì a provocare le risposte di Riina su oscuro incarico di un apparato di stato, ma questo significa niente: anche in America si fa così, si prende un criminale e lo si usa per incastrare altri criminali, che male c’è? Se le risposte di Riina sono la luna, cioè la certificazione che Napolitano e Berlusconi sono due collusi, la “trattativa” c’è stata, e Di Matteo è un eroe della giustizia senza macchia e senza paura, bè, che ci possiamo fare, perché Ferrara indica il dito?

In America infiltrati e testimoni della corona servono a trovare le prove di reati (nemmeno collettivi, ma puntuali, individuali) commessi da criminali loro sodali, non come qui, il paese in cui queste operazioni hanno lo scopo di riscrivere la storia della Repubblica, sputtanare servitori dello stato che hanno ingabbiato i criminali stessi e li hanno locupletati di dozzine di ergastoli, creare miti politici minirivoluzionari ai quali attaccare le prospettive politiche e partitiche di piccole formazioni “antimafia” capitanate dai magistrati stessi che hanno le mani in pasta in queste oscure trame, magari affossando nel tragitto il presidente della Repubblica facendone un Andreotti-bis e un ex presidente del Consiglio che quaranta anni fa (quaranta-anni-fa) assoldò un mafioso palermitano per proteggere i suoi figli dal pericolo di rapimento nell’Italia delle anonime sequestratrici (chi doveva assoldare, una suora?).

Sto calunniando qualcuno? Ricordate Massimo Ciancimino da Santoro con Ingroia? Era un’icona dell’antimafia, serviva allo stesso scopo di un Lorusso qualsiasi, “raccontarla giusta”, cioè sbagliata: venne fuori che era un pataccaro e che falsificava i documenti sulla trattativa per coinvolgere il prefetto Gianni De Gennaro, ex capo della polizia e dell’antimafia vera, quella di Giovanni Falcone che se del caso arrestava i pentiti calunniatori, a parte l’arsenale dinamitardo in giardino e i maneggi per salvare facendosi usare in giustizia il patrimonio finanziario di famiglia. Chiaro? Ho detto pataccaro nelle mani dei media e di un pm collega dell’eroe della giustizia Di Matteo. Chiaro quel che ho detto?

I precedenti pataccari non si contano. La foto di un’agenda rossa del magistrato Borsellino ucciso dalla mafia, denunciata come la prova di un complotto per occultare la “trattativa” dagli stessi che oggi scrivono le loro insinuazioni sul bravo caporale Lorusso, si rivela la foto di un parasole. Chiaro? Un parasole. Due politici e parlamentari del giro politico-elettorale-giudiziario-mediatico di Ingroia, nell’estate del 2012, fanno lo stesso giretto di un Lorusso, ma nella cella di Provenzano, altro capo mafia a riposo, e vengono presi con le mani nel sacco del pentitismo “sollecitato”, essendo illegale e pataccara la formula del colloquio investigativo non autorizzato e garantisticamente controllato dal procuratore antimafia e dal ministro della Giustizia, almeno secondo la legge. Chiaro? Patacche politiche spacciate per redenzione.

Ve la do io l’America, cari polemisti del Fatto quotidiano. Ma il problema non è la polemica giornalistica. Travaglio ancora non ha risposto a una domanda gentile e definitiva che gli rivolsi da Mentana in tv: come mai uno stato colluso, carabinieri collusi, politici collusi, hanno devastato la mafia corleonese a colpi di arresti e di ergastoli? E’ la domanda chiave, alla quale non è possibile rispondere perché l’unica risposta possibile toglie il pane della polemica e della politica di bocca agli eroi della giustizia. Ma questo in fondo conta poco. Conta il fatto incredibile di queste ore: la grande patacca è in cammino, dopo tante altre patacche, e il mondo della politica, dei giornali, del diritto non trova motivo per segnalarlo e magari indagare e scandalizzarsi. Hanno tutti paura di essere mascariati. Anche se Travaglio insinua che io conosca chissà quali cose in fatto di mafia e politica, sulla scia del compianto Antonio Tabucchi che mi accusò di essere a conoscenza di fatti segreti relativi al golpe di Pinochet e di sapere chi ha ucciso Calabresi per la mia battaglia garantista nel caso Sofri, “ammia” il mascariamento mi fa un baffo.

G. Ferrara, il Foglio, 24 gennaio 2014 - ore 06:59

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