Legge elettorale. Due fiorentini e un siciliano

Il patto a due tra Renzi e il Cav. non c’è senza Alfano

Verdini e il segretario pd trattano per tre ore a Roma sul sistema spagnolo. Ma non piace a Ncd, pronto a fare la crisi

Hanno parlato per tre ore fingendo noncuranza e spiritosa frivolezza. Si conoscono bene, palleggiano tra loro frottole e barzellette, sono tutti e due fiorentini, possiedono la stessa grammatica. E dunque quando ieri pomeriggio si sono incontrati riservatamente a Roma, Matteo Renzi e Denis Verdini si sono capiti subito, entrambi maneggiano lo scambio e la trattativa politica come cose ovvie, naturali e riposanti, con familiarità. Renzi vedrà il Cavaliere giovedì, o forse venerdì. “L’accordo sulla legge elettorale è fra te e Berlusconi”, ha detto Verdini al segretario del Pd, con un tono complice, esclusivo, lui che si trova nella condizione d’incarnare gli umori mobili, anzi mobilissimi del Sovrano di Arcore, il Cavaliere non più così sicuro di volere le elezioni anticipate a maggio, ma chissà (“se non le vuole è perché non ci sono”, sussurra Maurizio Gasparri. “Inutile prendere decisioni quando tutto è oscuro. Ma sarebbe meglio che almeno sul partito decidesse”).

E insomma fosse per Verdini e Renzi, l’accordo si sarebbe già chiuso ieri. Lo schivo ambasciatore del Cavaliere ha insistito sulle virtù del sistema spagnolo e Renzi ha lasciato intendere che va bene, anche se il segretario del Pd sa che una mediazione è tuttavia inevitabile con l’ala ministeriale adesso seduta sui banchi del governo, con Angelino Alfano, che il sistema spagnolo lo vede come la peste. In pubblico il segretario ragazzino è sprezzante, parla di Alfano masticandone e quasi mordendone il nome: “Il suo passo indietro sulle riforme costituzionali è clamoroso”. Ma Renzi lunedì ha incontrato Giorgio Napolitano. E nel decoro liso degli arazzi e dei velluti rossi del Quirinale, il presidente della Repubblica deve avergli rappresentato con pignoleria il suo culto dei raccordi, della riflessione e della minuzia: la politica è fatica, e le riforme si fanno includendo. E dunque l’accordo a due tra Berlusconi e Renzi, inevitabilmente deve diventare accordo a tre, con Alfano. Napolitano sa bene che Alfano, di fronte allo spettro d’una riforma per lui devastante come sarebbe quella spagnola, sarebbe capace di ordire fantasie velenose sotto la fronte liscia: la crisi di governo e il voto col proporzionale. Non si può tenerlo fuori da un accordo.

E insomma Alfano, grazie ai suoi numeri in Parlamento, esigui ma determinanti, ha una chance di giocare al gioco grosso. E Berlusconi, per adesso rappresentato da Verdini, che camuffa alla meglio il cinismo ludico e volubile del suo Cavaliere, nel mutismo in cui s’è rinchiuso ha invece tutta l’aria d’una vecchia volpe capace di tramare a proprio vantaggio. “Avete visto com’è tornato centrale?”, sussurra Mariastella Gelmini, con un lampo negli occhi. E insomma Berlusconi attende, ascolta, ha esperienza e sa anche barare, “l’unico che ha davvero fretta, perché ha molto da perdere è Renzi”, sibilano a Castello Grazioli. E sempre di più questa trattativa, che corre come sabbia in una clessidra (dopodomani se ne discute alla direzione del Pd, e il 20 un testo deve arrivare alla Camera) prende le sembianze d’un percorso di serpenti occultati sotto le foglie. Un po’ a Renzi non riesce d’interrogare e decrittare a fondo l’anima elusiva del Cavaliere, e un po’ deve attenersi all’evidenza minacciosa che pare gli abbia prospettato Napolitano: senza Alfano non si fa niente. Dicono che il giorno in cui Renzi l’ha capito, lui che si erge sul proprio “io” come sulla cima di una torre, è rimasto così, con l’espressione di chi ha dei peli dentro la bocca e non riesce a scacciarli.

“Per noi l’unico sistema è il doppio turno, il sistema per l’elezione dei sindaci”, scandisce con ritmo algebrico Maurizio Lupi, il ministro, braccio destro (e sinistro) di Alfano. Una pienezza calda e rumorosa ribolle nelle vene del gruppo ministeriale, gli assorda le orecchie e apre il cervello alla potenza d’una ossessione: durare, durare e ancora durare. Ma se l’accordo elettorale dovesse escluderli cambierebbe tutto, la crisi sarebbe un’ipotesi, e Alfano è già in grado di minacciarla, sottilmente, allusivamente, senza mai dirlo. Gli effetti sarebbero devastanti, si voterebbe col proporzionale. E dicono che Napolitano, evocando questo crepuscolo, a un certo punto abbia pronunciato la sua parola più scabrosa, che schizza come una sassata in piena faccia: io mi dimetterei. “Napolitano non si dimette, aspetta le riforme”, racconta Renzi. Ma se le riforme non si fanno? E pare che un muto rimprovero erri in fondo alle parole del presidente della Repubblica, come il tuono al di là dell’orizzonte; pronto, questo rimprovero, a venire avanti e scoppiare. E dunque Verdini ieri sera, poco prima di congedarsi, intorno alle diciassette, ha guardato Renzi, ammiccando, “l’accordo è fra te e Berlusconi”, gli ha detto. Renzi ha annuito, ma con un presentimento che deve avergli gelato la fronte. E’ possibile accordarsi con “l’inutile” (parole sue) Alfano, e lasciare fuori l’inaffidabile Cavaliere?

FQ. di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo, 15 gennaio 2014 - ore 06:59

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