Sharon, il leone di Dio. La vita del guerriero
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che fece Israele e che non ha mai chiesto scusa
Nato Ariel Schneinermann, diventato Ariel Sharon, sarebbe passato alla storia come "la spada di Davide". E' morto da guerriero, dicono, lottando, fino all'ultimo. E' stato una figura imponente, drammatica (l'onta di Sabra e Chatila). Nessuno è stato più vituperato nel corso della lunghissima carriera militare e politica. Aveva una vocazione di sinistra, agraria, collettivista, ma per invidie interne all'esercito divenne un eroe della destra sionista e religiosa, il padre degli insediamenti in Cisgiordania.
L'establishment laburista lo detestava e ammirava. E' storia nota: da generale, nel 1967, Sharon con la 202a Brigata di paracadutisti, sfondò nel Sinai, contro il parere di Moshe Dayan. Fu ancora lui, Sharon, che nel 1973, dopo il disastroso avvio della guerra del Kippur, che vide Israele presa fra due fuochi siriano ed egiziano, sfondò in Egitto alla testa dei suoi uomini, passando il Canale di Suez. Un prodigio militare, dunque. Il miglior commento alla morte di Sharon è forse venuto dal suo successore, Ehud Olmert: "Arik è sempre stato nella linea dove il destino ebraico si decide". Per tutta la carriera, Sharon si mosse in nome della sicurezza di Israele e del popolo ebraico, dal ritiro di Gaza ai carri armati spediti dentro la casbah di Jenin. Ha spesso salvato il suo paese. Dopo averlo fondato, letteralmente, in battaglia. Non ha mai chiesto scusa. Nel bene e nel male, un grande. Il suo nome significa "il leone di Dio".
FQ. di Giulio Meotti, 11 gennaio 2014 - ore 16:42