Il sospetto su Fassina: "Dimissioni già pronte

 per incastrare Matteo". I fedelissimi di Renzi: dal viceministro

solo un pretesto  per costringere il segretario a scendere a patti con Letta

Laura Cesaretti - Lun, 06/01/2014 - 09:15 Il Giornale

Ci ha pensato su una notte, poi Matteo Renzi è passato al contrattacco. Cercando di smontare la trappola mediatica abilmente orchestrata dai suoi oppositori interni e fatta scattare con gran prontezza da Stefano Fassina.

Al quale ieri il segretario Pd, in un post su Facebook, rinfaccia la strumentalità delle accuse con cui ha cercato di motivare dimissioni «già pronte da settimane», come dicono in molti nel Pd, convinti che l'ex viceministro avesse fin dalla conclusione del congresso l'intenzione di sganciarsi dal governo per essere libero di attaccarlo e di intestarsi la leadership dell'opposizione interna, lasciata vacante da Gianni Cuperlo. Operazione non facile perché le divisioni interne alla sinistra tra ex bersaniani (come Fassina) ed ex dalemiani (come Cuperlo o Matteo Orfini) sono forti, e questi ultimi sono al momento schierati con Renzi nella critica al governo. Ragion per cui Fassina ha voluto sbrigarsi a liberarsi dal suo ruolo nell'esecutivo.

Fassina – dice il segretario – «oggi mi accusa di avere una visione padronale del partito. Non me ne ero accorto quando si trattava di confermare i capigruppo o di scegliere il presidente o di tenere aperta la segreteria anche a persone non della maggioranza». Sottolineatura sarcastica del fatto che la sinistra dalemian-bersaniana è stata ben lieta, dopo la vittoria di Renzi, di tenersi o prendersi tutti i posti possibili, su cui il nuovo segretario non ha avanzato pretese né fatto repulisti. «Certo - dice ancora - a differenza di quello che avrebbe fatto la politica tradizionale il primo mio gesto non è stato chiedere il rimpasto, come Fassina mi ha chiesto su tutti i giornali». E come, pensa Renzi, sognano - per imbrigliarlo - Enrico Letta e Dario Franceschini (autore, affermano i renziani, della «soffiata» a Repubblica per far scrivere, qualche giorno fa, che Renzi reclama il rimpasto).

Un rimpasto che, spiegano a Palazzo Chigi, potrebbe esserci a fine gennaio, «dopo la chiusura del contratto di coalizione», ma che il neo leader Pd non ha alcuna intenzione di avallare. Fino ad allora, la poltrona di viceministro all'Economia di Fassina è destinata a restare vuota. E per quanto riguarda i renziani, può rimanere così: «Ci sono già molti bravi vicesegretari, come Pierpaolo Baretta: basta spostare a loro le deleghe. Non si vede la necessità di un nuovo viceministro», dice un dirigente parlamentare vicino al sindaco. Aggiungendo una battuta che la dice lunga sulle difficoltà del «patto» tra Letta e il segretario: «L'unico rimpasto possibile è cambiare il premier, ma al momento pare difficile».

In barba anche ad alcuni dei suoi, che si erano affannati a smentire la fatidica battuta («Non è vero che abbia detto “Fassina chi?”, ha solo chiesto “chi?” perché non aveva sentito»), il leader del Pd non smentisce nulla. Anzi rivendica il suo approccio diretto: «Non cambierò il tono dei miei incontri con la stampa. Mai. Non diventerò mai un grigio burocrate che non può fare una battuta. Continuerò a farle e a riceverle». E contrattacca con decisione, consapevole di essere finito in un trappolone preordinato: «Fassina non aspettava altro che un pretesto per strappare, e ha colto l'occasione con grande abilità, facendo pure la parte della vittima», ammettono in casa renziana. Mettendo in difficoltà Letta (che ieri sera faceva sapere di sperare ancora in un passo indietro), ma offrendogli anche un assist per cercare di incastrare Renzi in un «patto» che serva a far durare il suo governo. A Palazzo Chigi si lavora alacremente per «mettere tutto nero su bianco», assicurando che se sarà il premier ad assumere il ruolo di mediatore, «si possono trovare intese di maggioranza anche sulla Bossi-Fini e sulle unioni gay». Difficile però che Renzi si lasci addomesticare.

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