Le mosse di Napolitano per gestire la fine del governo

del presidente. Riforme, discorsi e passaggi necessari per evitare

che il Quirinale diventi il problema invece che la soluzione

Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica, in questa occasione particolare, sarà ascoltato con molta attenzione soprattutto per il messaggio che conterrà sul futuro immediato. Ci si domanda come reagirà Giorgio Napolitano alle novità intercorse in questo scorcio dell’anno, con l’abbandono della maggioranza da parte dell’area più cospicua del centrodestra, almeno in parte attribuita all’insufficiente attenzione del Quirinale per la persecuzione giudiziaria subita, secondo gli esponenti di quel partito, dal fondatore di Forza Italia. Sul piano istituzionale il governo di Enrico Letta, dopo i voti di fiducia ricevuti seppure da un arco parlamentare assai più ristretto, mantiene la sua piena legittimità, ma il suo carattere di “governo del presidente”, che conseguiva dal patto di pacificazione in base al quale Napolitano aveva accettato il secondo mandato, è tramontato. Ora è un governo con una specifica maggioranza parlamentare, sul quale il Quirinale è chiamato a esercitare le sue funzioni di controllo e non più quella di sostegno “dall’alto” che era stata largamente esercitata nel recente passato. Napolitano ha già dato corso a questa nuova condizione, e lo ha fatto capire in modo evidente quando ha rifiutato di promulgare un decreto profondamente rimaneggiato durante l’iter di conversione. L’attività ordinaria del governo, quindi, dipende ora esclusivamente dalla tenuta o meno dei rapporti tra Matteo Renzi e gli esponenti del Partito democratico e del raggruppamento di Angelino Alfano che costituiscono l’asse centrale dell’esecutivo: su questa attività il Quirinale si limita a vigilare secondo le sue tradizionali funzioni. Ci sono però, oltre alle scelte di politica di governo ordinarie (anche se in alcuni casi assai impegnative, come accade su due terreni particolarmente cari a Napolitano, la corresponsabilità meno subalterna nelle scelte europee e le iniziative sulla giustizia in grado di fornire risposte alla tragedia del sovraffollamento delle carceri), i temi istituzionali, sui quali, almeno per quanto riguarda quello più immediato, la riforma del sistema elettorale, sono in corso contatti multilaterali tra le forze politiche. Napolitano ha recentemente invitato Forza Italia a mantenere aperta la collaborazione sui temi istituzionali anche dopo l’uscita dalla maggioranza politica, ma questo appello è stato accettato, a quel che pare, solo limitatamente alla legge elettorale. Napolitano deve decidere se prendere atto realisticamente di questa situazione, che farà fallire anche in questa legislatura l’obiettivo di un rinnovamento della Costituzione, oppure se insistere nella speranza che alla fine si trovi lo spazio per un filo di dialogo anche su questa materia.

L’aspirazione frustrata

Il 2014 sarà l’anno della riforma o delle elezioni, e questo in realtà non dipende soprattutto dal Quirinale, anche se al Colle spetta il potere di scioglimento delle Camere. L’evoluzione della situazione, l’affermazione dirompente dello strapotere giudiziario che ha distrutto le prospettive di pacificazione insite nel patto per la rielezione di Napolitano, la modificazione della configurazione partitica del centrodestra e della leadership del centrosinistra, sono fenomeni, seppure diversi tra loro, che concorrono però a superare la recente situazione in cui Napolitano appariva l’unica soluzione a una condizione di stallo politico e istituzionale. Oggi Napolitano rischia di diventare, invece che una soluzione, un problema. Probabilmente la sua sensibilità democratica lo spingerà, se si profilerà davvero questa ipotesi, a compiere atti e ad assumere gli impegni necessari per togliere quel problema dal tavolo, cioè a non insistere a tenere in vita un’ipotesi politica che era nata con lo spirito della pacificazione quando essa finisse con l’assumere invece l’aspetto della sfida e della rottura. Come si è detto, gli ultimi gesti del Quirinale fanno intendere che è in corso un allontanamento dalle precedenti funzioni di protezione dell’esecutivo e di assunzione d’una più equilibrata funzione di garanzia anche nei confronti delle opposizioni. Quanto si spingerà avanti su questa strada il discorso presidenziale di fine d’anno, oppure se ritornerà all’appello ormai piuttosto velleitario alla costruzione di un ampio consenso sulle riforme istituzionali, è un interrogativo aperto, forse anche nella mente del presidente, che deve far combaciare la sua aspirazione, finora frustrata, a lasciare un segno decisivo sul terreno delle riforme, col suo tradizionale rispetto per il principio di realtà, che oggi va in direzione esattamente opposta.

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