Manuale di conversazione, LE CANZONI

Come fare bella figura in salotto senza sapere quel che si dice

LE CANZONI - Sono la forma contemporanea della poesia.

- Ognuno ha una canzone che ha segnato un momento fondamentale della propria vita. Anche se non la si ha, dire di averla.

- Stigmatizzare l’intellettualismo di gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi; apprezzare l’universale semplicità di sapore di sale, sapore di mare.

- Sostenere che Mogol sia il vero maître-à-penser italiano del dopoguerra, disseminando i propri discorsi di versi del grande paroliere. Per esprimere l’aleatorietà di un esito: “lo scopriremo solo vivendo”; per suggellare la fine di una relazione: “un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso”;  per simboleggiare il male di vivere, inarrivabile: “il carretto passava e quell’uomo gridava: Gelati!”.

- Lucio Battisti è dentro di noi. Chiosare: ma solo quello delle canzoni scritte con Mogol.

- Dire che “My way” di Frank Sinatra in originale era una canzone un po’ menosa di Claude François dal titolo “Comme d’habitude” rivela una natura che non si ferma alla vulgata.

- Provare un moderato senso di vergogna per aver cantato per decenni canzoni in inglese storpiandone orribilmente il testo.

- Avere vanamente tentato durante l’intera adolescenza di ravvisare un qualsivoglia senso nel testo di “A whiter shade of pale” dei Procol Harum.

- Avere scoperto dopo decenni in cui la si è canticchiata spensieratamente che “Upside down” di Diana Ross era la storia di una relazione di coppia sadomasochista ed esserci rimasto malissimo.

- Deplorare la pratica del canto in pullman durante il viaggio di ritorno delle gite e, specialmente, l’improvvisazione dei versi che non si ricordano.

- Avere ammirato Lucio Dalla per l’indomito coraggio civile del verso: “La musica andina, che noia mortale, sono più di tre anni che si ripete sempre uguale”.

- Stilare la classifica delle dieci canzoni più orribili di tutti i tempi e confrontarla con quella dei presenti. Ancora imbattuta “I bambini fanno ooh”.

- Parlare con nostalgia dei “musicarelli” qualifica il cinefilo conoscitore della cultura pop. Non spiegare cosa fossero i musicarelli.

- Un sapido osservatore del costume può utilmente ricordare quando, alla nascita di MTV, alcuni intellettuali condannarono i videoclip, ritenuti un’inutile esibizione di didascalismo: come se qualcuno sentisse il bisogno di mostrare la foto di quell’ermo colle.

- Segnalare il videoclip di “I like Chopin” quale vertice insuperato del kitsch anni Ottanta.

- Chi è stato giovane negli anni Ottanta può rievocare l’arte della compilation su cassetta quale strumento di sottile corteggiamento delle ragazze. Arte, peraltro, magnificamente illustrata da Nick Hornby in “Alta fedeltà”.

- Deprecare il malcostume di comporre la colonna sonora di film d’intrattenimento giustapponendo senza alcun criterio i pezzi musicali di successo dell’ultima stagione. Considerarla una forma di sciacallaggio mediatico. Posizione che qualifica l’intellettuale pop.

- Avere scritto delle canzoni, ma poi avere avuto il buonsenso di tumularle nel cassetto, insieme alle poesie. Plaudire.

- Conoscere a memoria i testi (o almeno i ritornelli) di tre canzoni dello Zecchino d’Oro. Obbligatori: Quarantaquattro gatti; Il torero Camomillo; Il valzer del moscerino; Il caffè della Peppina. Facoltativi: Popoff, Per un ditino nel telefono, Cin Ciu è.

- Dire di avere deciso di diventare un intellettuale per poter ambire a una normale vita sessuale, dopo la constatazione della propria inettitudine come chitarrista intorno al falò sulla spiaggia.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Andrea Ballarini, 1.12.2013

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