Altro che pacificazione, è il governo delle trappole
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L'operazione larghe intese è già fallita: regole stravolte per
eliminare Berlusconi e riforme-brodino. Letta fa il Ponzio Pilato e avvicina l'Italia al voto anticipato
Pubblichiamo l'editoriale di Giuliano Ferrara apparso domenica sul Giornale
Le elezioni si avvicinano. Tutto può succedere, anche il miracolo del cosiddetto «semestre europeo» presieduto da Enrico Letta (questa dei semestri in cui un'ora fatale si leva sui colli di Roma è una scemenza fatua: i semestri presieduti a turno dai Ventisette contano quasi nulla). Più probabile la decomposizione definitiva di una legislatura che doveva essere qualcosa e si rivela una delusione. Bisognava pacificare, e siamo alla ferocia belluina contro l'Arcinemico. Bisognava aggredire la ripresa internazionale con riforme e misure drastiche per la crescita, a partire da un serio calo delle tasse su impresa, lavoro e reddito, e siamo qui che beviamo un tiepido brodino degli chef Letta e Saccomanni. Il Quirinale rieletto a sorpresa aveva tentato il bis dell'operazione Monti, e cioè un esecutivo calato dall'alto per necessità e urgenza nazionale, ma stavolta tutto si è giocato a elezioni avvenute, dopo la presa d'atto dell'impotenza del Pd, e in un contesto in cui la politica doveva riappropriarsi dello spazio dei tecnici, logorati dall'avventura politica anche nell'immagine.
L'operazione è fallita. Direi che peggio non poteva andare. Pacificazione? La magistratura ha proceduto con il machete, una maggioranza parlamentare forcaiola (Pd più Grillo più aggregati al carro) ha stravolto le regole della Costituzione pur di colpire la persona di Berlusconi, contraente maggiore del patto di governo. Napolitano si è rassegnato, e ha fatto molto male a farlo, a un'umiliante trafila testimoniale davanti ai gestori di un processo grottesco su Stato e mafia. Il suo appello all'amnistia è stato disertato. Ripresa e crescita? La Confindustria, che non è la Leonessa d'Italia, ha vomitato il tiepido pallore della manovra di stabilità. I sindacati, in automatico, hanno proclamato uno scioperuccio. Gli economisti giudicano tecnicamente la performance come si può giudicare un'aspirinetta data a un tubercolotico.
Ma la faccenda è risibile sopra tutto dal punto di vista politico. Un Paese deve essere guidato. Quel che resta del sistema dei partiti deve avere dei riferimenti. Se il capo del governo e della maggioranza si comporta da persona perbene e da leader mediocre, non si scappa, tutto rotola verso il peggio o il meglio. Fai il Ponzio Pilato, te ne lavi le mani, non costruisci ponti e legami? La tua maggioranza si sfarina, ovvio. Ti impicci degli affari interni a un partito della coalizione, in modo anche pubblico e pesante, lavori per la formazione di un nucleo di opportunisti ministeriali? Non puoi aspettarti gratitudine dagli alleati. Vai a ricasco dei pm e dei giudici alla Esposito, scansi la questione dell'amnistia e della grazia? Avrai quel che hai donato. L'indifferenza e una certa dose di inimicizia.
Che succede ove si arrivi al voto? Succede che a destra ancora non si sa bene se mai sarà possibile tecnicamente la leadership diretta di Berlusconi, che gli elettori vorrebbero e la nomenclatura da vent'anni cerca di impedire con ogni mezzo lecito e illecito. A sinistra invece un vincitore virtuale della gara c'è, e si chiama Matteo Renzi, un capo giovane e ambizioso che si è ripromesso di piacere trasversalmente a tutti e di prendersi anche una fetta del consenso moderato. Renzi però sta vincendo in mezzo al massimo del caos, tra storiacce di tessere gonfiate, tra polemiche dure sulla qualità delle forze interne che lo appoggiano, in particolare nel Sud, e restituisce colpi distruttivi, perché è un becerone che non le manda a dire. Il risultato è che la destra appare ed è la vittima di un accanimento, la sinistra sembra di nuovo un pescecane senza denti, un coagulo di forze disparate che non trova un centro unificatore al di là della voglia di potere.
C'è poi un fattore davvero distruttivo. Che ne direste se al pubblico di Forza Italia si presentasse in una contesa per la leadership un Cofferati? Il potenziale divisivo di Renzi è superiore, in relazione al partito di cui è parte riluttante, senza la voglia di esporne le bandiere, alla speranza di vincere che incarna. Non credo affatto che riusciranno, nel Pd e nella sua area di riferimento, a mettere tra parentesi le questioni decisive dell'identità, che pesano in particolare nel momento del voto. Un candidato di sinistra contro la Cgil, contro il giro degli intellettuali e dei militanti del partito maggiore, ecco uno strano animale che si deve preparare a curiosi avvitamenti e capitomboli, un principe alla ricerca di un principato nuovo che però nessuno conosce. Osservando l'evoluzione del cosiddetto congresso del Pd, un finto vecchio congresso degli iscritti a cui si sovrappone una conta primaria astiosa tra gli elettori mobilitabili, e tenendo conto della tensione tra la leadership che si fa largo e il governo piccolo che si fa anche stretto, ho capito meglio che cosa voleva dire Berlusconi quando ha proverbialmente pregato i presenti di non credere che sia stata detta l'ultima parola.
© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara, 4 novembre 2013 - ore 08:30