Quelle Corti esplosive
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Da Karlsruhe a Roma. Come nasce e come si spiega la
grande guerra tra i giudici e l’Europa
Tic tac tic tac. Mentre in Italia buona parte dell’opinione pubblica è impegnata a versare tonnellate d’inchiostro per definire se sia Matteo Renzi ad assomigliare a Virna Lisi o se non sia invece Massimo D’Alema a somigliare a Nilla Pizzi, a poche centinaia di chilometri dai palazzi romani sta andando in scena una silenziosa e micidiale guerra nucleare che nelle prossime ore sarà destinata a emergere come la punta di un iceberg nell’istante in cui i giudici della Corte costituzionale tedesca si esprimeranno sulla legittimità delle politiche monetarie della Banca centrale europea e in particolare sul programma Omt (Outright Monetary Transactions) presentato il 26 luglio dello scorso anno da Mario Draghi e perfettamente sintetizzato dal presidente della Bce con il suo famoso “whatever it takes”.
La decisione della Consulta tedesca, che è attesa entro la fine della settimana, avrà delle ripercussioni importanti sulla futura architettura dell’Europa, se non altro perché il piano anti spread ha aiutato i famosi paesi periferici a dimezzare il differenziale dei propri titoli di stato con quelli dei Bund tedeschi, ma al contrario di quello che si potrebbe credere la battaglia in questione non è solo l’ultimo e appassionante capitolo dello storico conflitto combattuto a colpi di cannonate tra i teorici del rigore assoluto (i tedeschi, tendenza Bundesbank) e i teorici del rigore cum juicio (la Bce, tendenza Draghi) ma fa parte di un gioco più grande in cui i protagonisti della partita sono da un lato i giudici e dall’altro l’Europa. Una partita le cui dimensioni spesso sfuggono agli osservatori italiani ma che nel giro di un anno e mezzo ha portato le massime autorità europee a sospettare che alcune delle corti costituzionali dei paesi membri si siano trasformate in cellule militanti dell’anti europeismo chiodato. Massime autorità europee che in questo caso corrispondono al profilo di un gruppo di funzionari della Commissione europea che in un paper riservato, intercettato giovedì scorso dal Financial Times, ha denunciato “l’eccessivo attivismo politico” mostrato, clamorosamente, da alcuni corti costituzionali. Un caso isolato? Seguite il filo.
Il caso in questione riguarda la sentenza di quella che è la più attiva tra le corti costituzionali europee, la Corte portoghese, che la scorsa settimana ha inferto un duro colpo alla Troika bocciando la riforma del lavoro approvata dal governo conservatore guidato da Pedro Passos Coelho. Il colpo alla Troika, che nel maggio del 2011 aveva concesso al Portogallo un prestito di 78 miliardi di euro, non arriva come un fulmine a ciel sereno ma arriva sull’onda di altre due clamorose sentenze della Consulta. La prima, datata aprile 2013, è quella che ha annullato la soppressione della tredicesima per i dipendenti pubblici e i pensionati portoghesi (sentenza che ha obbligato il governo a riscrivere la legge finanziaria). La seconda, datata agosto 2013, è quella che ha bocciato la misura governativa che creava un nuovo regime di “mobilità speciale” per i lavoratori del settore pubblico, che rendeva più facile il trasferimento dei dipendenti in vista del loro licenziamento. Solo un caso isolato? Solo una noiosissima storia di ricorsi e controricorsi di un paese alla periferia dell’Europa? Sentite cosa dice al Foglio il costituzionalista Luciano Violante. “C’è poco da fare. L’Europa di oggi è arrivata a toccare una terra incognita in cui le istituzioni continentali hanno fatto dei passi più lunghi della gamba e hanno creato delle zone opache che non potevano che essere presidiate dai magistrati. In tutta Europa, in effetti, tra ricorsi alla Corte costituzionale, appelli inoltrati alla Corte di giustizia, referendum minacciati contro le decisioni della Commissione europea, è presente un notevole attivismo giudiziario che alle prossime elezioni potrebbe essere cavalcato dai populisti europei e che ha origine da una rivoluzione culturale che da anni influenza molta giurisprudenza europea e che in qualche modo è cominciata ai tempi del processo di Norimberga. Da Norimberga in poi, infatti, la figura del giudice si è trasformata una sorta di garante non solo della legge ma anche dei diritti umani e quando si creano cortocircuiti tra le istituzioni qualche volta capita che i giudici decidano di svolgere un ruolo simile a quello di un supplente della politica”.
Il caso portoghese e il caso tedesco non sono infatti casi isolati ma si inseriscono in un contesto ancora più ampio in cui sono coinvolti molti dei principali paesi finiti sotto l’occhio spietato dei tecnocrati europei. Paesi come Cipro, per esempio, dove l’associazione nazionale dei giuristi aveva promesso di avviare una class-action alla Corte europea di Giustizia contro il prelievo forzoso sui conti correnti imposto la scorsa estate dalla Troika al governo cipriota (e poi, però, bocciato in Parlamento). Paesi come l’Irlanda (che nel 2011 ha ricevuto 85 miliardi euro di prestito dalla Troika) dove a svolgere in un certo senso le funzioni di giudice costituzionale è stato un referendum che lo scorso quattro ottobre ha respinto la proposta del governo di abolire la camera alta del Parlamento. E infine, naturalmente, paesi come l’Italia. Dove non solo esistono giudici che in alcuni casi considerano legittimo non pagare l’Iva (ricordate la storia dell’imprenditore milanese assolto per non aver pagato l’Iva a causa della difficile situazione economica dell’impresa?). Ma dove esiste, anche qui, una Corte costituzionale che sfidando il governo (e sfidando anche gli estensori della famosa lettera della Bce) ha bocciato prima la richiesta di privatizzazione dei servizi pubblici locali (30 agosto 2012), poi il taglio dello stipendio dei dipendenti pubblici (11 ottobre 2012), infine la famosa e tanto acclamata abolizione delle province (6 giugno 2013). “Quella che vedremo nei prossimi giorni in Europa – dice al Foglio l’europarlamentare del Pd Roberto Gualtieri – rappresenta una specie di via giudiziaria alla sovranità nazionale e in un certo senso i casi tedeschi, italiani e portoghesi si tengono insieme perché rappresentano episodi in cui, per varie ragioni, si cerca di proteggere un paese dagli artigli, diciamo così, dei tecnocrati europei. Qui non si tratta di dare dei giudizi di merito. Si tratta solo di riconoscere un fenomeno che potrebbe diventare esplosivo. E se i grandi e piccoli paesi dell’Unione europea non troveranno un modo per correggere dall’interno delle istituzioni i difetti dell’Europa da qui alle prossime elezioni europee aspettiamoci pure di ritrovarci una nutrita platea di elettori indignati pronti a tifare affinché i giudici dei paesi membri si trasformino sempre di più nelle costole giudiziarie dei populismi europei”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Claudio Cerasa – @claudiocerasa, 31 ottobre 2013 - ore 06:59