Tre ministri in barca. L’insuccesso

che accomuna Saccomanni, Zanonato e Giovannini

Sarà pure nel giusto, Enrico Letta, quando esibisce la bronzea sicurezza del premier che non teme schegge letali dall’implosione della vicenda giudiziaria berlusconiana. Più dubbi avremmo, fossimo in lui, sulla stabilità di alcuni suoi ministri, in particolare quelli destinati ad armeggiare con sostanze tossiche come l’Economia, lo Sviluppo e il Lavoro. Parliamo di Fabrizio Saccomanni, Flavio Zanonato ed Enrico Giovannini.

Il titolare del Tesoro, già penosamente contraddetto da Letta dopo la critica al recente patto corporativo Confindustria-sindacati, va sgolandosi da giorni con le sue giaculatorie sulla ripresa alle porte, salvo essere smentito di ora in ora da quasi tutti gli indicatori economici e gli istituti di ricerca, per non parlare dell’Unione europea e della Bce di nuovo occhiute e minacciose sul nostro deficit, o della City londinese che si rifiuta di garantire i prestiti internazionali alle nostre banche. Va bene l’ottimismo della ragione, ma Saccomanni deambula ancora ben al di sotto delle aspettative.

Gli fa degna compagnia lo smarrito Zanonato, già sospetto d’intelligenza con il più inconcludente club del Pd (tendenza Bersani), investito dal collasso dell’Ilva e incapace di mettere a tema un problema che avrebbe potuto aggredire da mesi: “Non sono ancora in grado di fare questa valutazione… sto studiando il dossier”, ha detto ieri a Rep.

Infine c’è Giovannini, la cui anima di statistico si disvela nel narcisismo astratto con il quale infierisce sulla riforma Fornero, difende le sue modeste proposte – come l’anticipo dell’assegno pensionistico per i così detti esodandi – e celebra i suoi mediocri successi, fra i quali rifulge lo sterile esborso di (pochissimi) quattrini per incoraggiare l’occupazione giovanile. Intelligenze sprecate. Il Foglio, 14/9

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata