Napolitano e il diavolo in un dettaglio

Appunto sul “controllo di legalità” nell’impeccabile nota

Quirinalizia. Nella formalmente impeccabile nota con cui martedì sera Giorgio Napolitano ha spiegato in modo chiaro il suo pensiero rispetto al complicato tema della cossiddetta “agibilità politica” di Silvio Berlusconi – prendendo a cannonate il partito degli sfascisti, dando nuova linfa alle larghe intese, incoraggiando il centrodestra a non perdere di vista l’interesse nazionale e offrendo comunque al Cav. una neanche troppo implicita solidarietà politica – vi è un passaggio che, a rileggerlo con maggiore attenzione, risulta essere non del tutto impeccabile. Il passaggio è quello in cui il presidente della Repubblica dice che, sì, “è legittimo che si manifestino riserve e dissensi rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione”, ma “non deve mai violarsi il limite del riconoscimento del principio della divisione dei poteri e della funzione essenziale di controllo della legalità che spetta alla magistratura nella sua indipendenza”. Il punto, come si vedrà, è molto delicato perché Napolitano, pur non avendo mai mancato di proporre in tutti questi anni i giusti rilievi alle “missioni improprie” portate avanti da alcuni magistrati esagitati, sceglie di sposare una precisa dottrina di cultura giuridica che – attribuendo al magistrato il “controllo di legalità” – legittima il trasferimento sul potere giudiziario di un complesso di funzioni e di attività che in teoria nulla avrebbero a che fare con le specifiche funzioni della magistratura.Il punto, alcuni anni fa, fu affrontato da Luciano Violante (ex presidente della Camera, ex presidente dell’Antimafia) in un saggio pubblicato da Einaudi (“Magistrati”) e sfogliare quelle pagine può essere utile per capire cosa si rischia sposando la tesi esposta da Napolitano nella nota di due giorni fa.  “Nella cultura di una parte rilevante della magistratura, il fondamento delle iniziative penali non è più soltanto l’applicazione delle singole leggi penali, ma il controllo di legalità, inteso non come ricostruzione della legalità violata ma come verifica che la legalità non sia stata per caso violata. (…) Il magistrato inquirente non ha il potere di controllare la legalità: questo è compito della polizia, della pubblica amministrazione e della politica. Non è compito del magistrato cercare il reato, egli deve avere sul suo tavolo una ‘notizia di reato’ non un generico e fumoso sospetto, ma la notizia, non inattendibile, che un fatto espressamente previsto dalla legge come reato sia stato commesso”. La questione, che ovviamente non è solo una fine disputa tra giuristi, potrebbe essere sintetizzata in questo modo: avvalorare la scuola di pensiero di chi sostiene che i magistrati possano esondare nelle proprie funzioni, attraverso il “controllo di legalità”, rischia di essere in contraddizione con chi invece (come del resto fa Napolitano) combatte da anni proprio per evitare pericolose invasioni di campo (specie politico) da parte della magistratura. E’ un dettaglio, ma i dettagli, quando a parlare è il capo del Csm, non possono che avere un loro peso. Ol Foglio 15/8

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