Cassare la Cassazione. Chi dice che quello del Cav.

è un destino privato è un cretinetti e un ipocrita:

è stato messo fuori legge un pezzo di libertà. Che fare? Deludere gli sfascisti ed eleggere domicilio politico a casa del prigioniero libero

Gli ipocriti per stupidità o per gola dicono che bisogna distinguere, all’indomani della sentenza della Cassazione, tra il destino personale di Berlusconi e la governabilità del paese. Impossibile. E’ stato messo fuori legge un movimento, un partito, un cartello di consenso su cui si regge il governo, va ai domiciliari una leadership che si è rivelata un pilastro della prospettiva politica, senza alternative serie di alcun tipo. E un pezzo di storia italiana, di libertà italiana.

In una situazione normale le cose andrebbero altrimenti. Se sui magistrati come corporazione, fino alla Cassazione, non gravasse il sospetto della politicizzazione, del comportamento abusivo di potere supplente contro l’autonomia sovrana della politica democratica, rappresentativa, sarebbe diverso. Ma questo sospetto da anni lo coltiva anche Luciano Violante, e non saremo noi a contraddirlo. Lasciamo al partito delle manette, fiorente nei giornali, il piacere delle campagne di insulti diretti ai Violante e ai Napolitano e a chiunque altro, da qualsiasi sponda, ha preso atto del principio di realtà. Il sospetto c’è, dilaga, è senso comune, e non può non delegittimare la decisione giudiziaria nel caso controverso di questi vent’anni. I festeggiamenti maramaldi della sentenza non fanno che confermare lo scetticismo sarcastico riguardo la sua presunta neutralità.

Le cose andrebbero altrimenti, di nuovo in questo contesto, se Berlusconi fosse un ordinario leader di partito. Messo in discussione da un potere neutro, legittimato e riconosciuto dal consenso etico e politico universale, il capopartito condannato se ne va. E il partito lo sostituisce con un altro alla guida. E’ successo a Helmut Kohl, e nemmeno in virtù di una sentenza, figuriamoci. Ma Berlusconi non è un politico in carriera, sia pure di grande rilievo e capace di durare nel tempo; è un’altra cosa, è un outsider che nella crisi della Repubblica dei partiti ha cambiato il terreno di gioco e si è fatto uomo di stato entrando in politica e innovandola radicalmente, con un tratto personale legato al maggioritario, all’alternanza di governo e al consenso sovrano come potere popolare di investitura oltre le nomenclature e le oligarchie. Berlusconi non è uno statuto, un apparato, una tradizione o prassi collettiva, un’ideologia come programma, un comitato centrale, un consiglio nazionale, una sede, un numero d’ufficio e di telefono al quale possa rispondere un’altra qualsiasi voce: Berlusconi è Berlusconi, una persona, piena di difetti, capace di sbagliare cinque volte al giorno, che si esprime in modo personale, che fa bene o male sempre in ragione di un istinto privato e personale, un capo popolare portato dal voto democratico a unzioni pubbliche e di governo, l’onction démocratique di cui parlava Mitterrand. Berlusconi è Berlusconi ed essere Berlusconi non è reato. Questo è il punto. Che una parte degli italiani, ostinatamente, si rifiuta di obliterare. Quando Craxi e Andreotti furono colpiti, loro che erano campioni di una Repubblica lasciata perire dai vili e dai furbi sotto i colpi delle crociate giudiziarie, in un delirio di cinismo e inverecondia, il paese sanzionò la cosa subito, automaticamente, distruggendo il loro consenso nelle urne e nella coscienza pubblica. Nel caso di Berlusconi il “reo” arriva alla sentenza della Cassazione, un timbro un po’ vile di conformismo della suprema corte rispetto alla Repubblica delle procure e al partito dei giudici, dopo anni di processi che non hanno convinto nessuno, non hanno alienato voti e fiducia. Anche Berlusconi ha pagato il suo tributo notevole all’antipolitica e all’anticasta dei ricchi e famosi nella crisi economica e nella grande adunata grillina contro la democrazia, ma per un pelo avrebbe potuto vincere le elezioni politiche per la quarta volta nonostante la diffamazione e i processi (uno zero qualcosa per cento); ed è uscito dalla gara con la proposta di governo che poi ha prevalso ed è oggi espressa dal governo Letta voluto e tutelato come di dovere dal presidente della Repubblica. Quindi chi dice che si deve distinguere, che sono fatti privati, è un cretinetti e un ipocrita, fauna abbondante nella classe discutidora italiana.

E allora? Che fare? Tirare giù tutto o contribuire agli sfascisti della lobby che vuole eterodirigere la sinistra e lo stato, e ai loro disegni stampati ogni giorno nella prima pagina di Repubblica, sarebbe assurdo e autolesionistico. Accoppiare a una condanna ingiusta una catastrofe politica, che sarebbe sentita come un attentato alla stabilità del paese e al pallido e non amato tentativo di mettere un argine alla più lunga recessione del dopoguerra, è altamente sconsigliabile. Tacere, lavorare di opportunismo, cambiare leadership senza il pieno consenso e attivo del Cav., fingersi genericamente governativi: tutto questo non si può e non si deve, sarebbe la risposta subalterna, indegna, priva di prospettiva e di fiducia, all’aggressione subita per due decenni, una resa. Invece una cosa la si può tentare, ed è nella pelle degli avvenimenti e della loro logica.

Cassare la Cassazione, ma nei fatti politici e nei comportamenti pubblici del “reo” e dell’armata popolare dei suoi amici e sostenitori. Dovunque sia costretto a eleggere domicilio, e anche senza passaporto e onorificenza della Repubblica, il prigioniero Berlusconi non perderà il diritto di parola e di azione attraverso la sua gente e il suo movimento e la sua rappresentanza. Chi lo ha consegnato a questa situazione indecente, a questa inaudita sproporzione, deve pagare le conseguenze del caso. Se un carisma personale è forte, se una leadership ha motivazioni sensate, e in questo senso oggi si aggiungono alle altre le ragioni di una ribellione al trattamento violento e prevaricatore, il potere democratico lo si può esercitare anche da casa propria. E, se le cose saranno fatte con prudenza, con determinazione intelligente, con il senso di una surrealtà da rimettere con i piedi per terra, sarà un grande spettacolo, e a subire alla fine le conseguenze della prepotenza saranno gli arroganti e i maramaldi che oggi si accaniscono nascosti dietro le sottane dei cassazionisti. Qui avevamo per tempo anticipato la possibilità di un leader politico anomalo, e adesso anomalo anche perché privato dei diritti civili e colpito da una sanzione che sa di faziosità politica, che riuscisse a resistere e a ricostruire una identità, una rivincita, da una posizione inaudita. L’esperimento può cominciare da subito, posto che la tempra del “reo” è forte abbastanza, e che la figura del prigioniero libero, della vittima di un’ingiustizia che si ostina a dialogare con il paese e a fare politica, assomiglia a Berlusconi come una goccia d’acqua. IL Foglio, G. Ferrara, 3/8

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