La crisi dell’Ipcc, dal Nobel ai dubbi dei dati sul clima.

All’Onu meno dogmi e più analisi.L’Olanda lo chiede agli scienziati

Pochi giorni fa, sul sito internet del Knmi, l’Istituto meteorologico olandese, considerato uno dei più seri al mondo, è comparso un breve documento nel quale si chiedeva all’Ipcc, il panel di scienziati dell’Onu che studia l’impatto delle attività umane sul clima, di cambiare rotta adeguandosi ai tempi, cambiando alcuni dei principi costitutivi, di rendere i propri report meno prolissi e in generale di essere più trasparente nella redazione degli stessi. Un passaggio del documento, in particolare (ripreso in Italia dal blog Climatemonitor), sorprende: “Riteniamo che limitare lo scopo dell’Ipcc al cambiamento climatico indotto dall’uomo sia indesiderabile, specialmente perché la componente naturale del cambiamento climatico è una parte cruciale del totale della comprensione del sistema climatico, includendo anche il cambiamento climatico indotto dall’uomo. L’Olanda è anche dell’opinione che la parola ‘esaustivo’ potrebbe dover essere cancellata, in quanto produrre degli assessment esaustivi diventa virtualmente impossibile con la continua espansione del volume della conoscenza e l’Ipcc potrebbe essere più incisivo producendo report su argomenti di natura nuova e controversa”.

Sono lontani i tempi in cui qualsiasi studio provenisse dal panel dell’Onu era preso come verità indiscutibile. Era il 2007, e in accoppiata con l’ex vicepresidente americano Al Gore l’Ipcc vinceva il Nobel per la Pace: la lotta al clima che cambia per colpa dell’uomo era la missione dell’umanità per i decenni a venire, e chi ne criticava i dogmi era un negazionista. Finita l’ubriacatura, però, l’Ipcc ha cominciato a perdere l’aura di infallibilità: topiche clamorose (la più nota quella sui ghiacciai dell’Himalaya che si sarebbero sciolti in pochi anni, poi corretta con tanto di scuse), accuse al presidente Pachauri di essere più interessato alla gestione di soldi e potere che alla salvezza del pianeta, e un numero sempre più crescente di ricerche e studi che contraddicevano molte certezze. Gli stessi dati, inseriti in altri modelli matematici danno risultati molto diversi tra loro, la raccolta capillare delle temperature non evidenzia un aumento delle stesse da oltre un decennio, le proiezioni sul clima che si sarebbe surriscaldato non si sono avverate, fino alla recente smentita del grafico più noto a chi segue questi temi: quello della “mazza da hockey”, che dimostrerebbe come a partire dagli ultimi anni del secolo scorso le temperature globali siano schizzate verso l’alto dopo secoli di sostanziale uniformità. Quest’ultima richiesta, arrivata tramite l’istituto olandese del clima (non una congrega di scettici, per intenderci) è l’ultimo segnacolo di una crisi di credibilità ormai difficile da salvare, nonostante le ultime aperture che lo stesso Ipcc ha fatto a scienziati e studiosi meno allineati con il pensiero “catastrofista”. Più in generale c’è una crisi della gestione dei dati, la fine del mito della fissazione di un benchmark.

Le incongruenze all’Ilva

La vicenda dell’Ilva, seppur diversa, palesa un problema analogo: non esiste un canone della decenza ambientale (mercoledì sul Giornale Vittorio Feltri ha messo in evidenza alcune incongruenze chiare, prima

fra tutte il dato per cui Taranto è 46esima nella classifica delle città più inquinate d’Italia). Allo stesso modo non esiste un canone della decenza climatica, e la richiesta olandese di aprire l’Ipcc alla pubblicazione di studi più “controversi” e di considerare anche le variazioni naturali del clima (cosa per cui qualche anno fa si rischiava la quarantena ideologica) lo dimostra.

Il columnist del Wall Street Journal Matt Ridley, salutando i suoi lettori nella sua ultima rubrica, ha spiegato bene che “si può anche seguire la massa, ma non perché è la massa”. Contano le prove, ha scritto Ridley, non il consenso. Per anni, invece, a chi poneva dubbi riguardo la correlazione tra attività umane e aumento della temperatura veniva detto che la maggioranza la pensava così, che il consenso – mostro mitologico che tutto divora – era ampio, c’era poco da discutere. Dopo avere letto due studi fondamentali, Ridley si era convinto sinceramente che il global warming fosse un pericolo serio. Col passare del tempo, però, è emerso che entrambi gli studi si basavano su dati parziali, quando non proprio sbagliati. Dopo che l’Università dell’East Anglia (la più ascoltata in tema di clima) ha ammesso l’errore, Ridley si è ricreduto.

© - F.Q. di Piero Vietti   –   @pierovietti

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