Il Pd e la rottamazione dei manettari
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La nuova identità del Pd passa per una nuova Giustizia.
Parla Speranza
Roberto Speranza ha 34 anni, guida i deputati del Pd dall’inizio di aprile, è stato il coordinatore della mozione Bersani durante la campagna elettorale, è corteggiato da tempo dai vecchi campioni del correntone rosso per scendere in campo e guidare il partito e dopo tre mesi passati alla guida del più grande gruppo di parlamentari alla Camera è arrivato a una conclusione importante: che la grande coalizione non solo potrebbe non far male al suo partito ma potrebbe persino aiutare il Pd a rafforzarsi, a migliorarsi e a trovare una nuova e più robusta identità politica. Già, ma come? Speranza, in questa conversazione con il Foglio, sostiene che oggi siano due i principali termometri da osservare per comprendere il grado di evoluzione e di maturità di un partito che intende essere moderno come il Pd. Da un lato, dice Speranza, c’è la giustizia; dall’altro c’è il complesso del tiranno. “Nella storia recente del centrosinistra – dice il capogruppo del Pd – un nostro limite è stato aver seguìto per troppo tempo un carrozzone giustizialista che, complice un anti berlusconismo sfrenato che ha fatto il gioco dello stesso Berlusconi, spesso ci ha costretto a curvare la nostra identità sul nostro essere contro qualcuno e non a favore di qualcosa, e spesso ci ha impedito di affrontare alcuni temi che invece avrebbero dovuto far parte del nostro patrimonio genetico”. Sulla giustizia, per esempio, “sono dell’idea che il Pd debba affrontare il tema senza pregiudizi e senza farsi offuscare dai problemi di Berlusconi. Dal punto di vista politico, ovvio, io e il Pd condanniamo il Cavaliere per quello che ha fatto e quello che non ha fatto in tutti questi anni. Ma non per questo possiamo restare immobili come delle sfingi di fronte alla giustizia: dobbiamo avere il coraggio di affrontare il tema, di far diventare la parola garantismo una parola di sinistra, di smetterla di tifare quando c’è un processo e di evitare di farci ammanettare da quei campioni del giustizialismo che spesso danno ai nostri avversari un alibi per accusare una parte della magistratura di essere politicizzata. Insomma: è arrivato il momento di riconoscere, senza schermi ideologici, che l’arretratezza del nostro sistema giudiziario è uno dei simboli dell’arretratezza del nostro paese”. Speranza sostiene che, oltre a una revisione del processo civile, “non sia un tabù, anche se non è una priorità, discutere di come regolare il sistema delle intercettazioni; non per togliere uno strumento prezioso per gli inquirenti ma solo per evitare, come purtroppo accade, che queste vengano utilizzate dai giornali prima ancora che siano state depositate”. Ma al centro dello “scandalo del sistema giudiziario italiano”, continua il capogruppo Pd, c’è però un altro problema: il sistema carcerario. Speranza considera un passo importante la recente approvazione del disegno di legge delega che consentirà ai magistrati di chiedere una misura alternativa al carcere per i condannati che dovranno scontare una pena non superiore ai due anni. Ma oltre a questo, dice il capogruppo Pd (che rimarrà a fare lo stesso mestiere anche nei prossimi mesi e non si candiderà alle regionali in Basilicata), c’è una questione culturale che dovrebbe diventare patrimonio del Pd. “Dovremmo dire con parole chiare – continua Speranza – che in Italia esiste un problema di abuso di carcerazione preventiva, e ignorare questo problema significa, ancora una volta, fare la figura delle sfingi. Se poi dobbiamo andare avanti nel ragionamento io arrivo a dire che nel nostro paese esiste un equivoco sulla funzione del carcere. Il carcere non ha solo una funzione punitiva, ma anche riabilitativa. E mi permetto di dire di più: nel rispetto totale delle vittime dei reati io credo che il nostro partito, per onorare la funzione riabilitativa del carcere, dovrebbe aprire una riflessione su un tema importante: l’abolizione dell’ergastolo. E la famosa lezione di Aldo Moro del 1976 credo sia davvero un punto da cui partire.
Assieme alla giustizia, continua Speranza, l’altro termometro da tenere d’occhio per misurare la capacità di evoluzione e di salute del Partito democratico riguarda un tema che, per molti versi, tocca anche le questioni congressuali: il complesso del tiranno. Secondo il capogruppo del Pd, “il nostro paese, come le tante nazioni che hanno vissuto in modo diretto l’incubo di una dittatura, si è via via trasformato, come aveva intuito anni fa Piero Calamandrei, in un sistema di partiti deboli che partoriscono governi che non decidono nulla. Il problema è oggettivo, e anche qui non dobbiamo cadere nel solito tranello che se una cosa la dicono anche i nostri avversari significa necessariamente che quella cosa sia sbagliata. Il centrosinistra – continua Speranza – deve superare questa paura e chiedersi anche qui se non sia il caso di ragionare seriamente su una proposta che personalmente a me convince: il sistema semipresidenziale con doppio turno alla francese ed elezione diretta del capo dello stato. Certo: occorrerebbe poi ragionare su tutti i contrappesi necessari da attribuire magari alla Corte costituzionale, ma detto ciò sono convinto che su questo tema il Pd non deve chiudersi a riccio, e non deve avere paura di affrontare l’argomento”. Il tema del non aver paura dell’uomo solo al comando, a voler essere maliziosi, è uno slogan che ultimamente è stato utilizzato anche da Matteo Renzi, che non a caso è un sostenitore del sistema semipresidenziale. Speranza non è un renziano, e come detto è stato il coordinatore della campagna elettorale dell’ex segretario del Pd. Ma su Renzi, in un certo modo, concede un’apertura, seppure molto cauta. “Sono personalmente convinto che voler trasformare le primarie per eleggere il segretario del Pd in primarie per eleggere il candidato premier sia un errore grave che avrebbe l’effetto di diventare un elemento di destabilizzazione per il governo. Se Renzi vuole fare il segretario deve capire che deve fare il segretario e che deve sacrificarsi per svolgere quel ruolo. Lui ha le carte in regola per farlo e, considerando anche che oggi le sue idee mi sembrano in parte diverse rispetto a quelle di qualche mese fa, credo che potrebbe avere anche un consenso più ampio di quello avuto alle ultime primarie. Ma nel caso in cui si dovesse davvero candidare, l’unico consiglio che mi sento di dare è questo: caro Matteo, un premier oggi ce l’abbiamo e si chiama Enrico Letta; se un giorno tu farai il segretario attento a non cadere nella tentazione di togliere l’ossigeno al governo: perché stai certo che poi le macerie potrebbero cadere su tutti noi, nessuno escluso”.
© - FOGLIO QUOTIDIANO , di Claudio Cerasa – @claudiocerasa