Guerra d’indipendenza da Facebook
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Piccola rivolta simbolica contro il social network che usa
l’algoritmo moralizzatore per limitare le parole conservatrici. Chi dissente su gay, armi e immigrazione è un nemico dell’umanità da additare e bandire
New York. L’algoritmo moralizzatore di Facebook non dorme mai. Veglia, scruta, scandaglia, draga il mare “big” dei dati come nemmeno gli agenti della Nsa alla ricerca di ignominiose espressioni linguistiche da bandire in nome della decenza comune. Non c’è contesto, sfumatura o intonazione che possa intenerire gli inflessibili guardiani del parlar corretto sul social network, e finisce che l’espressione “froci” usata in un editoriale di questo giornale venga scioccamente bollata come incitamento all’odio. L’algoritmo non va troppo per il sottile. L’hate speech è roba seria, pensano dalle parti della Silicon Valley, mica possiamo lasciar correre qualunque schifezza in questa nostra pulitissima cloaca dell’amicizia internettiana, altrimenti poi sai le lamentele, le querele, gli esposti, i genitori che bloccano i profili dei figli perché Facebook non ha preventivamente bloccato gli orrori altrui e al pranzo della domenica i ragazzi hanno chiamato froci i gay come se nulla fosse.
La politica censoria di Facebook non risponde però soltanto all’esigenza della protezione legale, non è un argine per evitare che gli offesi chiamino l’avvocato. E’ una vidimazione culturale, una patente di liceità linguistica e morale.
Il sistema interroga l’algoritmo come fosse una Pizia per sapere cosa concede il volere del social network, ma almeno la Pizia era ebbra dei “dolci vapori” che inducevano il vaticinio, non consultava policy contrattualizzate per dare responsi. Facebook, insomma, ha creato uno standard e non è difficile capire che lo standard non è fatto soltanto di bandi ai contenuti pedo-pornografici ma è perfettamente sovrapponibile ai dettami della cultura liberal. Per questo ieri, nel giorno dell’indipendenza americana, un pugno di blogger conservatori ha organizzato il “Freedom from Facebook”, boicottaggio del social network che non toglierà nemmeno un minuto di sonno a Mark Zuckerberg ma coglie il senso di un assalto permanente a certi contenuti troppo di destra per poter essere socialmente accettabili.
Milizie armate? Camicie nere? Tirapugni? Saluti romani? Macché. Diane Sori è stata cacciata per sei volte da Facebook perché ha scritto che la sharia è incompatibile con la società americana. Le associazioni che difendono il Secondo emendamento alla Costituzione – che sancisce il diritto degli americani a portare armi – vengono costantemente allontanate dalla piazza facebookiana, un gruppo che critica le politiche d’immigrazione dei democratici non ha potuto postare sul social network l’annuncio di una manifestazione di dissenso contro le idee di Obama (e qui la cosa si fa ulteriormente spinosa: Zuckerberg è l’animatore di una lobby pro immigrazione), la censura di Special Operations Speaks, un gruppo di veterani che faceva campagna contro la rielezione di Obama alla Casa Bianca, ha fatto addirittura infuriare il liberal del portale Slate.
L’account di Todd Starnes, commentatore di Fox News, è stato congelato dopo che lui ha scritto il seguente post: “Sono il più politicamente scorretto possibile. Indosso un cappellino della Nra, mangio panini di Chick-fil-A, leggo il libro di ricette di Paula Deen, bevo un bicchiere enorme di tè zuccherato mentre sulla mia sedia a dondolo Cracker Barrel ascolto la Gaither Vocal Band che canta ‘Jesus Saves’”. Facebook ha ammesso che in questo caso la censura è stata una svista, perché con “un milione di segnalazioni a settimana” un “errore umano” ci può stare, come ha spiegato una portavoce dell’azienda. Errore umano? E l’algoritmo impersonale che non guarda al colore politico degli utenti? I blogger conservatori non hanno mai creduto alla storia della policy senza pregiudizi, pure leggi matematiche applicate, e hanno preso la data del 4 luglio per fare un parallelo fra il giorno in cui i Padri fondatori hanno “espresso il loro dissenso verso Re Giorgio” e quello in cui la comunità si ribella per “essere stata accusata e punita in modo tendenzioso”.
Ma più che l’ingiustizia in sé ciò che preoccupa gli animatori del boicottaggio simbolico è che le linee guida imposte da Facebook sono diventate il criterio con cui la società distingue le opinioni legittime dai deliri impresentabili, il dibattito dall’insulto. Il giudice della Corte suprema Antonin Scalia ha scritto che ormai chi è a favore del matrimonio eterosessuale è considerato un “nemico del genere umano”; su Facebook molte altre opinioni conducono a una rappresentazione simile e l’algoritmo è soltanto il buttafuori di un club che talvolta è molto esclusivo.
di Mattia Ferraresi – @mattiaferraresi, F.Q. 5/7