A Berlino non si comanda quel che e la Commissione

ha deciso di omettere  sui salari tedeschi

Impegnati a commentare le raccomandazioni che l’Unione europea ha inviato questa settimana all’Italia, oltre alla chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo del nostro paese, gli osservatori hanno dato poca o nessuna importanza alla bacchettata (moderata) ricevuta dalla Germania per mano dalla Commissione europea. Nella raccomandazione sul programma di stabilità tedesco, Bruxelles ha precisato il novero delle riforme sulle quali Berlino è ancora colpevolmente indietro, senza tuttavia menzionare le questioni politicamente più sensibili, in grado di influenzare la campagna elettorale in corso. Per gli euro-burocrati, i tedeschi avrebbero senz’altro fatto passi avanti sul fronte della riduzione del deficit e presenterebbero un’economia e un mercato del lavoro dinamici. La Germania presenta però un carico fiscale e contributivo eccessivo. Ma soprattutto il paese è indietro su quel tipo di riforme di cui potrebbe beneficiare indirettamente il resto del continente. Critiche severe dall’Ue giungono per esempio per le mancate liberalizzazioni nel settore dei servizi. Nessun accenno inoltre alla politica salariale, nonostante molti economisti – non solo keynesiani – sostengano che un aumento degli stipendi nella prima economia dell’Eurozona potrebbe avere ricadute positive sui paesi vicini ed esportatori. La Commissione, come ha rivelato il quotidiano Handelsblatt, ha scelto alla fine di eliminare ogni riferimento a tale esigenza. Insomma, anche il contributo tedesco al risanamento degli squilibri intraeuropei potrebbe essere determinante, ma per ora a Bruxelles – almeno nei confronti di Berlino – prevale la realpolitik. F.Q

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