Pronti per un secondo disastro?

Ecco il piano di pace per la Siria

Mosca annuncia che anche il governo siriano siederà a Ginevra, ma non c’è accordo possibile sulla sorte di Assad

Ieri la Russia ha detto che il governo siriano è d’accordo “in principio” a partecipare alla conferenza di pace che si terrà a Ginevra entro le prossime due settimane. Per la prima volta rappresentanti del presidente Bashar el Assad siederanno a un tavolo con l’opposizione, in un incontro sponsorizzato da Stati Uniti e Russia. Il piano di pace Ginevra 2 ricalca il Ginevra 1, proposto il 30 giugno 2012 e prevede un cessate il fuoco a tempo indeterminato e la creazione a Damasco di un governo di transizione a cui affidare i poteri.

Le posizioni sono inconciliabili già in partenza. Washington mercoledì scorso ha chiesto che Assad lasci il potere e non faccia parte di questo nuovo, ipotetico governo. Moaz al Khatib, rappresentante dell’opposizione siriana, ha chiesto che Assad lasci la capitale “entro 20 giorni, con 500 persone a sua scelta che potrà portarsi dietro”, ma senza garanzia di immunità legale contro eventuali processi. Assad invece è fermo sulla sua posizione, lascerà l’incarico soltanto se sarà sconfitto nelle elezioni presidenziali che intende tenere l’anno prossimo, nel 2014. I russi, suoi sponsor, non hanno accennato ad alcuna condizione su Assad. Insomma: sul punto centrale, se Assad debba o non debba restare al suo posto,  le parti sono in completo disaccordo.

Ginevra 2 rischia di fare la fine di Ginevra 1, che fu un fallimento completo. Il piano avrebbe dovuto fermare i combattimenti, ma è passato quasi un anno e sono aumentati d’intensità: allora i morti erano circa 19 mila, oggi sono attorno a quota 100 mila. Il mediatore delle Nazioni Unite, Kofi Annan, si dimise per la frustrazione quando si rese conto che il piano non poteva funzionare.

Ieri il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, si è sentito al telefono con il segretario di stato americano, John Kerry, per parlare della conferenza di pace di Ginevra (ancora non si conosce il giorno, anche se circola la data del 10 giugno). I due si incontreranno lunedì a Parigi, per parlare ancora. Questo clima d’intesa è però superficiale. Kerry nel suo recente viaggio a Mosca è stato tenuto fuori ad aspettare tre ore prima di incontrare il presidente Vladimir Putin – una rottura umiliante del protocollo – ma più che la forma conta la sostanza: Mosca continua le forniture di armi alla Siria sostenendo di dover onorare contratti già firmati, ma di recente sta fornendo ad Assad i mezzi per bloccare un eventuale intervento dall’esterno. Sistemi d’arma sofisticati, batterie di missili terra-aria capaci di colpire gli aerei che decollassero da Cipro, la base più vicina a disposizione della Nato, o dal mare davanti alle coste siriane. Washington rischia di trovarsi presto senza più possibilità di esercitare pressioni sul governo di Assad e non è la condizione ideale per sedersi ai negoziati. L’Amministrazione Obama non sembra nemmeno in grado di esercitare influenze pesantissime sui ribelli, perché per ora ha scelto la linea attendista dell’impegno ridotto. Gli aiuti più visibili sono le razioni militari di cibo già pronto che fa arrivare ai ribell. Così, se da una parte del tavolo di Ginevra 2 c’è idealmente Putin che sostiene Assad con i missili, dall’altra c’è Obama che aiuta l’opposizione con i tortellini secchi al formaggio.

La Russia annuncia la partecipazione del governo siriano alla conferenza di pace, ma a Damasco il potere pre-rivoluzione è stato sostituito da un consorzio allargato, di cui fanno parte Assad, il governo dell’Iran e i leader del gruppo libanese Hezbollah, che prende le decisioni strategiche come quella di attaccare la città di Qusayr e che non intende trattare sul serio un compromesso con l’opposizione.

Sul fronte opposto, ieri una quindicina (su 30) di appartenenti del Consiglio militare supremo, lo stato maggiore dei ribelli (che però non rappresenta i gruppi estremisti come Jabhat al Nusra) ha incontrato in un albergo di Istanbul una delegazione saudita. Il regno del Golfo ha sostituito il Qatar come principale finanziatore della ribellione, ma tende a privilegiare i gruppi più moderati (può sembrare controintuitivo, ma i sauditi non vogliono rafforzare l’estremismo per poi ritrovarselo in casa). Il flusso di aiuti per ora ha rallentato.

di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri

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