I Marò sono un problema della Nato
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L’India fa la sbruffona, l’Europa langue, urge una deterrenza atlantica
L’ambasciatore italiano a Nuova Delhi, Daniele Mancini, vive tecnicamente in libertà condizionata già da alcuni giorni: sorvegliato a vista, impossibilitato a lasciare l’India. La Corte suprema locale ha prorogato almeno fino al 2 aprile il divieto di espatrio per il nostro rappresentante, ma è possibile che un colpo di scena possa sopraggiungere giovedì, quando sarà scaduto il permesso elettorale concesso dalle autorità asiatiche ai nostri due Marò sotto processo, e tenuti sotto custodia cautelare, con l’accusa d’aver ucciso due marinai al largo della costa del Kerala (proteggevano un’imbarcazione italiana dai pirati indigeni). Che altro può accadere? Non è inverosimile che Mancini finisca agli arresti, nel quadro di una meccanica ritorsiva messa in atto dall’India in spregio alle più elementari e apparentemente inviolabili norme del diritto internazionale. E’ noto che nessun diplomatico, neppure in condizioni di guerra guerreggiata fra due paesi, può essere considerato ostaggio o nemico, meno che mai dovrebbe fungere da capro espiatorio (certe delicatezze si riservano ai civili). Nuova Delhi non ha argomenti plausibili da esibire alla comunità internazionale, a parte un documento della sua Alta corte nel quale, con tanto di firma in calce (leggerezza totale), l’ambasciatore Mancini si fa garante del rientro in India dei Marò. Può bastare questo per ammanettarlo? Evidentemente no. Né l’India può farsi forte oltremisura della timidezza europea sulla vicenda – “non possiamo prendere posizione nel merito degli argomenti”, ha detto un portavoce di Catherine Ashton, responsabile per la Politica estera dell’Ue – senza che un analogo provvedimento restrittivo venga adottato a Roma nei confronti del corpo diplomatico indiano (un ambasciatore non c’è).
Ma l’Italia che cosa intende fare per uscire dallo stallo e dall’umiliazione? Un impeto di resipiscenza imporrebbe di rimuovere il titolare della Difesa, Giampaolo Di Paola, e il ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata insieme con il suo sottosegretario Staffan de Mistura. Sono loro i responsabili principali di una vicenda pasticciata e gestita in modo per lo meno sonnambolico: dovevano a suo tempo imporre ai Marò di sequestrare la nave incriminata per tenerla al largo delle acque indiane; ovvero, una volta prodottosi il danno, avrebbero potuto ingaggiare i corpi speciali e liberare subito i nostri militari senza troppi danni collaterali (in America e Israele fanno così, in Italia si collezionano onorificenze); in ogni caso non avrebbero mai dovuto assumere o far assumere impegni sul tipo di quello preso dall’ambasciatore Mancini. Fatto questo, licenziati i nostri inetti, non resterebbe che denunciare alla Nato la sbruffoneria indiana come una provocazione inaccettabile nei confronti di un esercito occidentale mal sorretto, a parole e nei fatti, dalla sua fatua diplomazia. F.Quotidiano, 19/3