Chiesa di lotta
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Altro che intimidita dal mondo, la “generazione eroica” di B-XVI ruggisce, dice il teologo Reno
New York. “Plausibile, ma non probabile”: così il teologo americano Russell Ronald Reno – per tutti “Rusty” – sintetizza la lettura dell’abdicazione di Benedetto XVI e delle sfide della chiesa fatta dal filosofo Roger Scruton in un dialogo con il Foglio pubblicato la settimana scorsa. Scruton sostiene che la “la chiesa è stata intimidita” e le dimissioni sono anche la conseguenza della “debolezza strategica” della cristianità sotto il vigoroso assedio del laicismo militante. La vecchiaia e l’infermità sono dati che vanno messi nel contesto. Per il direttore di First Things – il giornale ecumenico che “ha dimostrato che è possibile essere cristiani intellettualmente compiuti”, come ha scritto Ross Douthat, columnist cattolico e conservatore del New York Times, un esperto di assedi culturali – è ragionevole, nella logica del mondo, porsi alcune domande: “L’abdicazione di Benedetto XVI è una concessione al mondo secolarizzato e al suo disprezzo per la vecchiaia e per tutto quello che si oppone al modello della giovinezza, del vigore e della competenza? Il suo abbandono va visto come una negazione del principio paolino per cui ‘il potere è reso perfetto nella debolezza’?”; ma non è questa, per Reno, la lente attraverso cui va letto il momento della chiesa. “Quando era giovane – dice Reno al Foglio – Ratzinger era ottimista sulla possibilità, per la chiesa cattolica, di estrarre dalla cultura secolarizzata il suo potenziale morale. Tuttavia, con un occidente secolarizzato che è diventato sempre più antagonista verso la verità della fede – e verso la verità in generale – Ratzinger è stato a ogni passo un interlocutore sobrio e realista, e spesso un critico. Niente della sua carriera di teologo, cardinale e infine Papa suggerisce che sia stato intimidito dal mondo. Al contrario, è stato chiaro, esplicito e fermo, non ha concesso nulla allo spirito del tempo”. Benedetto XVI è l’ultimo di quella che Reno chiama la “generazione eroica” dei padri del concilio, il teologo dell’“ermeneutica della continuità” che ha rifiutato la logica della rottura conciliare con le verità eterne della cristianità.
Il gesto di Benedetto XVI per Reno non è l’abbandono di fronte alla tempesta del laicismo ruggente che si è abbattuta sull’occidente, ma l’affermazione della continuità teologica della chiesa. La tensione fra la chiesa e il mondo, del resto, è un tratto originario della presenza cristiana ed è diventata una costante nella modernità. “Il Papa si è dimesso – continua Reno – perché ha pensato che era la cosa giusta per il bene della chiesa. Sa benissimo che il cristianesimo si trova di fronte a un attacco aggressivo del secolarismo che cerca di intimidirla per farle accettare il suo relativismo morale; sa anche che la chiesa ha accettato che troppi aspetti della sua vita fossero guidati da una logica secolarizzata. Forse Benedetto vede il decennio che viene come un periodo di grande prova per la chiesa, e desidera che ci sia un uomo capace di incarnare la forza intellettuale e la volontà necessaria per dirigere la chiesa dal trono di Pietro. Se così è stato, siamo di fronte a un colpo da maestro portato da un uomo con una forza enorme. Il problema di fondo, però, non è la minaccia di questo specifico tempo, ma la minaccia dei tempi in generale”. Per questo ora, dice Reno, serve un Papa che con “spirito di carità” e “coerenza” diventi l’erede della “generazione eroica” che si chiude con Benedetto XVI. Mattia Ferraresi, 27/2