Breve anatomia di un colpo di scena
- Dettagli
- Categoria: Firme
Bisogna trattare. Il Cav. non è un’escrescenza, è l’altra Italia. Il “riformismo
radicale di Bersani e Vendola”, cioè l’ultimo auspicio sventato e leggero come una piuma di Eugenio Scalfari, in una lunga e a suo modo illustre serie di bla bla bla, può aspettare. La rimonta di Berlusconi, che solo un moto di simpatia, e di pancia, poteva intellettualmente avallare, lo ha fermato sulla battigia a colpi di tasse restituite e di performance televisive da sballo. In termini politici siamo esattamente al punto di partenza, novembre 2011. Berlusconi non può governare, se si stia ai numeri, e non può governare Bersani. Un anno di esecutivo Monti, scemenze elettorali a parte, ha rimesso in sesto la finanza pubblica, ricucito una ferita euro-occidentale che sanguinava ormai da tempo, e aggravato le conseguenze recessive di una cura da debito che non è compensata, e su questo Berlusconi e l’editorialista del Financial Times Münchau hanno ragione, da una strategia europea per la crescita dell’economia reale. Se i mercati finanziari si rimetteranno in moto caoticamente, sarà un guaio. Ma non è detto che si vada al di là di scosse e smottamenti di scarsa forza.
Certo, un paese che è ancora la terza economia europea deve nel giro di qualche giorno dare una prospettiva di governo a sé stesso. Il richiamo astioso a nuove elezioni come cura per i propri rancori di bottega non è buon consigliere. Berlusconi dovrebbe proporre subito un governo di responsabilità nazionale, visto che la governabilità alla fine dipende dalle sue scelte, dai suoi toni, dalla sua capacità di legittimare un esecutivo che senza i suoi voti non vedrebbe mai la luce. Se la missione si rivelasse impossibile, se la scelta si manifestasse come troppo dolorosa, si rivoterà, con un rinfocolamento pericoloso degli sconcerti e delle rabbie più pazze. Bersani, quando decidesse di accollarsi il compito di silurare la possibilità di governare il paese, dovrebbe poi sopportare le conseguenze del gesto.
Quanto a Grillo, prende ora il via la gara ruffiana a definire l’antropologia della protesta, naturalmente a buon mercato. Ha preso tanti voti, è arrivato più o meno tre, come al solito. I suoi saranno capaci solo di rilanciare quella logica da setta, anche violenta, che alla fine non mette capo a nulla se non alla più bolsa demagogia. Tutti faranno a gara nell’untuosa pretesa di rispettare, a chiacchiere, un movimento che si fonda sul turpiloquio e sull’insulto, che non ha – anche per sua fortuna e per sua gloria – alcunché di rispettabile a parte il profilo delle singole persone e un retroterra ludico troppo spesso rinnegato da toni deliranti, isterici. Grillo è la commedia dell’arte, la cosa si conosce molto bene, un’alzata di sipario può sempre riuscire buona. Ma qui la divisione antropologica è un’altra. E’ quella tra un’Italia che considera Berlusconi un’escrescenza da eliminare, e Berlusconi che in questo paese, spesso con mezzi cinici ma efficaci, ha costruito una maggioranza capace di superare l’orizzonte di tutti gli errori e di tutte le follie (comprese le sue). Complimenti. Ore 22,40 del 25,2© - FOGLIO QUOTIDIANO