Quel compromesso possibile tra inchieste e interessi nazionali .
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E se il caso Finmeccanica fosse accaduto in America? Trasparenza e
business possono stare insieme anche senza moralismo. Le vicende giudiziarie Eni-Saipem e Finmeccanica stanno dimostrando la nostra innata tendenza a non riflettere sui temi complessi, come quello della corruzione internazionale, ma a delegare a indagini e arresti, titoloni di giornali, vendite in fretta e furia di asset strategici a vile prezzo seguito il tutto dall’oblio collettivo appena arriva lo scandalo successivo, che è più grande ed emozionante spesso… Peccato che questo gioco non sia a somma zero per l’interesse nazionale perché non rimuove il problema della corruzione e non ci permette di fare un serio dibattito – come in tutti i paesi civili – sulle regole con cui vogliamo affrontare la competizione internazionale in settori strategici e delicati come quelli della difesa e dell’energia. Una democrazia matura deve accettare, e regolamentare, la differenza tra accedere a mercati non trasparenti grazie a sponsorizzazioni locali e pagare retrocessioni, estero su estero, al management e alla politica. La prima è cosa che si può fare in molti paesi civili la seconda è un reato penale (ma non bisogna confondere i piani come non li confondono negli Stati Uniti e in Europa). Cerchiamo, quindi, di capire meglio per evitare di farci scippare – a costo quasi zero – quel poco di grande industria che ci rimane e di cui abbiamo bisogno per tornare a crescere e competere (come scriveva, tra altri, Marco Alfieri su Linkiesta.it ieri). Andiamo per punti. Il reato di corruzione internazionale, la punibilità penale in Italia anche per tangenti pagate all’estero da soggetti italiani, è stato introdotto nel nostro paese nel 2000 come recepimento di una convenzione Ocse che si ispirava, a sua volta, a una normativa anticorruzione statunitense degli anni 70. La normativa americana venne impostata in modo da evitare svantaggi competitivi alle aziende, con criteri di collegamento estesi ad operatori non americani. Quindi la prospettiva statunitense è sempre stata quella di tenere insieme trasparenza e business, non moralismo stupido ma pragmatismo vigile. Negli Stati Uniti, infatti, casi come Eni-Saipem e Finmeccanica sarebbero trattati in modo diverso per non confondere eventuali responsabilità personali di manager e politici se infedeli o corrotti con la vita delle aziende e l’interesse nazionale che viene – giustamente – sempre prima di tutto, specie nell’energia e nella difesa.
La normativa USA è diversa perché come risaputo negli Stati Uniti non c’è l’obbligatorietà dell’azione penale, quindi in casi simili verrebbero utilizzati i così detti “Deferred Prosecution Agreement” che consistono in una rinuncia all’azione penale a fronte del pagamento di importi concordati e dell’implementazione di “compliance programs” cioè all’adozione di regole per evitare il ripetersi del comportamento sanzionabile. In Finmeccanica, solo per caso, l’arresto di Orsi non sembra aver danneggiato l’operatività del gruppo, oggetto di mille appetiti di concorrenti, perché lo standing del direttore generale, Alessandro Pansa, può reggere l’urto ma la spada di Damocle delle sanzioni interdittive per la società rimane. In Italia, quindi, non siamo solo meno sofisticati che negli Stati Uniti ma siamo anche più severi che nel resto d’Europa perché le norme italiane prevedono un rapporto tra la corruzione internazionale e le sanzioni interdittive per l’azienda – ai sensi sempre della legge 231 – mentre i nostri partner europei non applicano sanzioni interdittive alle società perché hanno capito che nella maggior parte dei casi produrrebbe danni irreparabili (in molti stati europei, infatti, si interviene solo con pene pecuniarie). Come spesso accade in Italia la politica ha paura di guardare in faccia se stessa e il mondo, speriamo che il governo in questo scampolo di legislatura lasci una traccia in modo che il prossimo Parlamento possa ripensare, in modo meno provinciale e non al traino della Magistratura, come trattare le questioni di “corruzione internazionale” anche nel contesto delle necessarie leggi sulle azioni a difesa dell’interesse nazionale contenute in tutte le legislazioni sui servizi segreti.
di Andrea Tavecchio