L’assurda condanna di Pollari
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Il processo Abu Omar è un processo al segreto di stato.
La IV sezione della Corte d’appello del tribunale di Milano ha condannato a dieci anni l’ex direttore del Sismi Nicolò Pollari, a nove il suo vice Marco Mancini e a sei gli agenti Giuseppe Ciorra, Raffaele Di Troia e Luciano Di Gregorio nel processo per il sequestro dell’ex imam di Milano Abu Omar, avvenuto nel febbraio del 2003, in piena guerra internazionale al terrorismo. Una decisione “sconcertante”, come ha commentato Pollari, ma ancor più un esempio evidente di malagiustizia. Non c’è alcuna prova che Pollari abbia partecipato o collaborato al sequestro di Abu Omar, l’apposizione del segreto di stato sulla vicenda da parte di tutti i governi che si sono succeduti – quelli di Romano Prodi, di Silvio Berlusconi e di Mario Monti – ha impedito al generale di portare prove a discolpa, ma in uno stato di diritto non è l’imputato a dover provare la propria innocenza, bensì l’accusa a dimostrare la colpevolezza. Invece l’unico argomento probatorio dell’accusa è proprio il segreto di stato, interpretato come dimostrazione di una copertura istituzionale a reati dei quali non ci sono altre prove. La questione è stata sottoposta alla Corte costituzionale dal governo attualmente in carica, che ha ritenuto lesivo del rapporto costituzionale tra i poteri l’annullamento, da parte della Cassazione, della precedente sentenza di proscioglimento. Ma il tribunale d’Appello milanese non ha voluto aspettare il pronunciamento della Consulta e ha voluto condannare, condannare, condannare. L’iter giudiziario sarà ancora lungo e prima o poi, c’è da sperare, si troverà un giudice interessato ai fatti, invece che a stabilire un principio politico abnorme: quello secondo cui i governi non possono apporre il segreto di stato su materie su cui indaga la magistratura in sede penale.
Al di là delle questioni processuali e procedurali sopra ricordate, l’abnormità della condanna nasce da qualcosa di più profondo. In sostanza, il tribunale milanese non ha processato degli imputati per un reato, ma il principio stesso secondo cui i governi possono avvalersi del segreto di stato a protezione della sicurezza nazionale. Di questo si tratta. E si tratta di una questione essenziale, che riguarda un punto delicatissimo dell’equilibrio tra i poteri dello stato. Si intende in sostanza abolire un potere dell’esecutivo sancito dalle leggi e dalla Costituzione, semplicemente rifiutando per via giudiziaria di accettare l’esercizio nei fatti di quel potere e trasformandolo addirittura in una prova di colpevolezza. Questo è inaccettabile. Ma a dare la misura della lunare estraneità alla realtà storica e politica di certa magistratura basta un fatto: qualche giorno fa un rapporto dell’Open Society Justice Initiative di New York (ne ha parlato il Foglio il 5 febbraio) ha dimostrato che dopo l’11 settembre tutti i governi europei, persino quelli dichiaratamente ostili alla “guerra americana”, hanno partecipato alle “rendition” della Cia. Centinaia di “casi Abu Omar”, che hanno difeso l’Europa dal terrorismo, e su cui nessuna magistratura di nessun paese democratico ha avuto da ridire. Tranne in Italia. Foglio, 13/2