La Manovra economica vista da sinistra
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Scusandomi col lettore, devo cominciare con quattro citazioni, in sequenza. Dice Bersani, sul Corriere della Sera del 5-6-2011: «Nelle carte che Tremonti ha già scritto, anche se forse Berlusconi non le ha lette, c’è scritto che dobbiamo arrivare al 2014 con una base di spesa pubblica di 40 mld in meno, forse anche 50. Io dico: è irrealistico. Non lo possiamo fare, se no andiamo in recessione sparati». Sul Messaggero del 29 giugno, il responsabile economico del Pd, Stefano Fassina, rincara la dose: «.. penso che una recessione economica causata dall’obiettivo di raggiungere il pareggio di bilancio entro il 2014 non sia nell’interesse degli italiani e neanche dell’Europa».
Scrive, tutto all’opposto, Prodi, sul Messaggero di ieri: «... è prima di tutto necessario ribadire che l’obiettivo di giungere al pareggio di bilancio entro il 2014 deve essere solennemente confermato, altrimenti il peso del debito pubblico diverrà insostenibile». Dello stesso avviso, Enrico Letta su la Repubblica di ieri: «Noi siamo i primi a dire che l’obiettivo del pareggio di bilancio va raggiunto nel 2014».
Ora, non stiamo parlando di un tema rilevante, ma di portata circoscritta. Stiamo affrontando - nel contesto della bufera che imperversa sull’Euro e sul debito sovrano dell’intera Area, dopo la più grave recessione degli ultimi ottanta anni - uno dei due fattori fondamenti della crisi italiana: l’eccessivo debito pubblico (il secondo, come è noto, è quello della crescita, troppo bassa da un quindicennio).
E lo facciamo nel quadro del nuovo coordinamento delle politiche fiscali ed economiche dei Paesi dell’Area Euro (Il Patto Europlus), che ha dato luogo alla seguente raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea: «sostenere gli obiettivi per il periodo 2013-14 (il pareggio di bilancio strutturale. nda) con misure concrete entro l’ottobre 2011, come previsto nel nuovo quadro di bilancio pluriennale».
La domanda che reclama una risposta chiara ed inequivoca, dal principale partito di opposizione, asse dell’alternativa di governo, è la seguente: il Pd pretende dal governo l’immediata presentazione di una manovra correttiva per almeno 40 mld al 2014, considerando essenziale per il futuro del Paese il conseguimento del pareggio strutturale a metà di questo decennio, o considera irrealistico questo obiettivo, e quindi inutile - se non addirittura dannoso - lo sforzo per conseguirlo?
Se la risposta è la prima, resta ovviamente del tutto aperto il tema del giudizio sulle misure concrete che il governo proporrà per la correzione da 40 miliardi. E il Pd potrà dire: «la scansione temporale (il triennio 2012-2014) e le dimensioni (almeno 40 mld di correzione netta, tutti dal lato della spesa), sono corrette. Sulle misure concrete che compongono la manovra, e su quelle necessarie per compensarne gli indubitabili effetti recessivi, abbiamo soluzioni del tutto diverse da quelle proposte dal governo».
Se la risposta è la seconda, allora non può essere elusa la questione degli effetti di un simile orientamento sul merito di credito del Paese. Attenzione. Questa è roba che scotta, e ci si può fare molto male.
Prima della Grande Recessione, la differenza tra i rendimenti dei titoli del debito pubblico tedeschi e italiani oscillava attorno ai 30 punti base. Nei giorni scorsi, ha superato quota 220. Secondo analisi di Banca d’Italia, un peggioramento dei rendimenti di 100 punti base determina, nel terzo anno successivo, un aumento cumulato di 1,1 punti di Pil della spesa per interessi.
Vorrei che fosse chiaro: se non si fa subito la correzione - che agisca sul bilancio 2013-2014 - il peggioramento del merito di credito potrebbe comportare, tra due anni, un aumento della spesa per interessi di un’entità pari al 50% della manovra richiesta per centrare il pareggio strutturale di bilancio al 2014. Un autogol micidiale.
Una manovra di questa entità ha effetti recessivi? Ovviamente sì. L’esperienza del passato consente persino di quantificarli: -0,5% di Prodotto, per ogni punto di Pil di spesa pubblica in meno, a partire dall’anno successivo a quello nel quale la riduzione di spesa viene effettivamente operata. Ma la sacrosanta consapevolezza di questo effetto negativo sulla crescita non deve affatto provocare incertezze sul se, ma spingere a lavorare meglio sul come e sulle riforme compensative dal lato della crescita.
Riforme per la promozione della crescita che, adottate negli anni della Grande Recessione, quando il Pd puntualmente le propose (la contromanovra del governo ombra, nei primi mesi del 2008) comincerebbero oggi a determinare i loro benefici effetti sull’andamento del Prodotto. Ma che debbono comunque essere adottate subito, per far sì che possano agire nel 2014 e successivi, quando gli effetti della manovra di riduzione della spesa deprimeranno di almeno un punto il Prodotto. Ecco un buon terreno per la sfida dei Democratici al governo, che ha emanato un decreto Sviluppo privo di contenuti.
In Europa, occorrerebbero misure più incisive e coraggiose, sia sul versante della gestione europea di quote rilevanti di debito pubblico (proposta Monti-Junker-Tremonti), sia sul versante della promozione della crescita (proposta Delors sugli Eurobond per investimenti in infrastrutture materiali e immateriali), sia su quello delle politiche delle entrate (tassa sulle transazioni finanziarie a breve)? Certamente.
Su questi obiettivi deve svilupparsi una forte iniziativa del campo politico democratico e socialista, per vincere le resistenze dei governi europei, oggi prevalentemente di centro-destra. Ma davvero c’è qualcuno che pensa che i riformisti italiani potranno risultare credibili, in Europa, se cominceranno questa battaglia prendendo le distanze - o manifestando, incertezza - rispetto alla politica per l’aggressione del quarto debito sovrano del mondo? Morando da il riformista