La chimera del coordinamento dell'intelligence europee non è la soluzione contro il terrorismo
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La condivisione di informazioni confidenziali tra i vari paesi, se mai avverrà, sarà solo l'ultimo stadio di un'unificazione politica dei 28 stati. Idee per focalizzarsi su obiettivi più concreti e a portata di mano dopo gli attentati di Bruxelles
Un militare belga all'aeroporto di Zaventem, a Bruxelles (foto LaPresse)
di Daniele Scalea | 30 Marzo 2016 ore 17:42
Come dopo ogni attentato in Europa negli ultimi anni, anche a seguito della recente strage di Bruxelles si sono levate nuove critiche alla preparazione dei servizi di sicurezza – quelle solite, circa la frammentarietà, la mancanza di comunicazione, la carenza di organico e investimenti. Si ripropongono puntuali gli stessi medesimi piani di riforma, quanto mai opportuni ma che finora si sono regolarmente arenati, non appena passata la sensazione del momento, a proposito del rispetto della privacy e del dovere dell'accoglienza.
È opportuno che non ci si perda nell'inseguire piani massimalisti e irrealizzabili, come l'unificazione tout court dell'intelligence europea (i servizi segreti, per la loro particolare natura, sono destinati a essere l'ultima cosa a fondersi, se mai si giungerà a un'Europa davvero unita), per focalizzarsi su obiettivi più concreti e a portata di mano che vanno dall'uniformare la traslitterazione in alfabeto latino dei nomi arabi (stesse persone possono essere schedate con nomi differenti in due paesi europei) a una maggiore partecipazione nella compilazione del Schengen Information System (trascurato da gran parte dei paesi), all'introduzione del PNR (il database delle informazioni personali dei viaggiatori aerei, a lungo osteggiato da Verdi, Socialisti e Liberali al Parlamento europeo). Sarebbe importante una giustizia in generale più efficiente e rigida, considerando che i terroristi sono spesso criminali comuni radicalizzati, ma che sfruttano il lassismo del sistema giuridico. Pensiamo ai due fratelli attentatori dell'aeroporto di Bruxelles. Ibrahim el Bakroui era stato condannato a 10 anni di carcere nel 2010 per una rapina nel corso della quale aveva ferito un poliziotto sparandogli con un kalashnikov, e successivamente ha violato la libertà condizionale venendo intercettato in Turchia mentre tentava di unirsi allo Stato islamico. Khalid el Bakroui era stato condannato a 5 anni nel 2011 per rapina, sequestro e furto. Eppure, li abbiamo ritrovati pochi giorni fa, entrambi liberi di compiere un'azione terroristica accuratamente preparata nei mesi precedenti.
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Un sistema efficiente è necessario, perché lo Stato islamico ha portato il terrorismo a un nuovo livello d'efficienza. Non più lupi solitari, spontaneismo o micro-cellule, ma reti più ampie e gerarchizzate, capaci di “nuotare come pesci nell'acqua” in certi quartieri delle città europee. Gli attacchi sono rivolti a obiettivi “morbidi”, imprevedibili e indifesi, consci che una piazza, uno stadio o un negozio kosher non sono meno simbolici: anzi lo sono forse ancora di più, perché rappresentano la normalità della vita quotidiana, terrorizzano davvero la popolazione, più di quanto farebbero attacchi contro i palazzi del potere. Il Califfato ha creato una sezione apposita per addestrare e coordinare gli uomini destinati a condurre l'offensiva terrorista fuori dai suoi confini. Nel momento in cui scriviamo, mezzo migliaio di jihadisti selezionati imparano le più sofisticate tecniche di terrorismo urbano. E l'Europa è stata eletta a uno dei bersagli principali, poiché gli strateghi dello Stato islamico vedono in essa il ventre molle del fronte avverso. Il progetto è di sconvolgere non solo Francia e Belgio, ma anche Gran Bretagna, Germania e Italia tramite uno stillicidio di attentati.
Lo Stato islamico sa che anche se l’Europa riuscisse a migliorare il sistema giudiziario o l'intelligence, resterebbero ancora delle crepe, sia politiche sia sociali, che la renderebbero comunque vulnerabile. Purtroppo, l'intelligence non è la panacea di tutti i mali e la politica non può addossare a essa le proprie responsabilità. Quando un Abdeslam Abaaoud ha la possibilità di celarsi per mesi nel quartiere in cui è nato e che è da tempo al centro delle indagini della polizia belga, nella capitale d'Europa ricolma di agenti segreti di tutti i paesi del mondo, riuscendo a progettare un nuovo attentato – non può sfuggire quanto reale sia il problema rappresentato da quella zona grigia di simpatizzanti, conniventi o quanto meno omertosi. Persone che non aderiscono allo Stato islamico, ma per cui i terroristi sono solo “compagni che sbagliano”, nonché un male minore rispetto alla polizia. Nelle banlieues parigine, così come a Molenbeek, si covano odio contro lo stato e disprezzo per la società europea. Questi sentimenti hanno trovato nell'islamismo una forma di legittimazione e nello Stato Islamico la casa-madre capace di fornire strumenti e metodi.
L'Europa, dagli anni Ottanta almeno, ha vissuto in un sogno utopistico: quello del mondo senza patrie, fedi e identità cantato da John Lennon in Imagine – non a caso canzone iconica che regolarmente ritorna, dopo ogni attentato, nella prassi simbolica di quanti oppongono il proprio nichilismo alla violenza di chi una sua bandiera l'ha trovata (per nostra sfortuna, nera e con inscritta la shahada). Liquidati i confini interni, quest'Europa ha sognato di cancellare anche quelli esterni. Gli europei si sono eletti “cittadini del mondo”, ma senza chiedere al mondo se fosse d'accordo. Gli europei, elevando la nuova icona arcobaleno, hanno predicato pace e amore universali, accoglienza per tutti, multiculturalismo senza esclusioni, rispetto dell'Altro e annichilimento del Sé. Encomiabile forse, ma terribilmente naïve. Così, senza previa pianificazione o riflessione critica, intere città sono state investite da inusitate trasformazioni sociali e culturali che ne hanno cancellato le secolari conformazioni. Ghetti comunitari sono sorti talvolta a pochissimi chilometri dal centro nevralgico degli stati – come è successo a Molenbeek, che a Bruxelles non è certo periferia – abbandonati a loro stessi e a una legge propria, liberi di sentirsi “altro” rispetto al paese in cui si sono impiantati. Accecati dall'ideologia, gli europei hanno rifiutato di vedere ciò che si stava preparando sotto i loro occhi. E solo quando qualcuno ha cominciato a sparare col fucile automatico o a innescare il Tatp, solo allora il boato delle esplosioni e le grida dei feriti hanno svegliato l'Europa. Candidamente aveva sognato di non avere più confini, l'Europa cosmopolita; tragicamente si è risvegliata sul fronte d'una guerra epocale, all'interno alle sue città. Rimarrà finalmente desta, o tornerà in letargo fino al prossimo attacco?
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