L’asse liberale Valls-Macron per portare la sinistra nel Ventunesimo secolo
- Dettagli
- Categoria: Estero
Un’ondata liberale per abbattere i vecchi totem della gauche francese. Parla il direttore dell’Opinion
di Mauro Zanon | 27 Febbraio 2016 Foglio
Parigi. “In Francia, da due anni a questa parte, il liberalismo ha fatto grandi progressi e non è più visto in maniera negativa. Non so se sia dovuto soltanto a noi dell’Opinion (sorride, ndr), ma le idee liberali stanno trovando sempre più spazio nel panorama francese. Il ministro dell’Economia Emmanuel Macron si definisce liberale, dice che il liberalismo è un valore di sinistra e il termine ‘liberale’ è tornato a far parte del vocabolario politico”. Nasceva due anni e mezzo fa l’Opinion, il gioiello del giornalismo parigino, e il suo direttore, Nicolas Beytout, che per mettere in piedi la sua creatura disse al Monde di essersi ispirato al Foglio, guarda affascinato il grande scontro di idee che si sta consumando nella sinistra francese. “Per la sinistra è giunto il momento della resa dei conti”, dice al Foglio Beytout, a tre giorni dalla pubblicazione sul Monde della requisitoria firmata da Martine Aubry e altre personalità della gauche giacobina contro le politiche social-liberali dell’esecutivo. “Dall’elezione di François Hollande all’Eliseo, nel 2012, a oggi ci sono state molte virate in direzione social-liberale. Virate a sorpresa e mai spiegate dal capo di stato al suo campo politico di riferimento: il ‘patto di responsabilità’ con le imprese, il Crédit d’impôt pour la compétitivité et l’emploi (Cice) per ridurre il costo del lavoro, e ora il progetto di legge El Khomri. Questi cambi repentini del senso di marcia hanno creato poco a poco uno iato profondo tra coloro i quali vogliono ritornare ai fondamentali dell’elezione presidenziale del 2012, l’ala radicale del Ps guidata da Martine Aubry e Arnaud Montebourg, e quelli che invece pensano che la sinistra di governo deve essere liberale, che deve abbandonare i vecchi totem della gauche francese, i vecchi miti, come le 35 ore, la sinistra di Macron e Valls”. Sul rapporto tra i due liberali dell’esecutivo, le redazioni parigine scrivono le più disparate cattiverie. Dicono che Valls vorrebbe far fuori Macron, che il secondo non esiterà fra qualche mese a pugnalare alle spalle colui che fu il suo sponsor presso Hollande nel 2014.
ARTICOLI CORRELATI Fabius, Royal, Macron: cosa si dice in Francia del rimpasto di governo imminente La marcia silenziosa degli uberizzati di Francia, "sacrificati sull'altare della pace sociale"
Ma Beytout, che conosce personalmente il giovane inquilino di Bercy, assicura che “Valls e Macron non sono in guerra, sono sulla stessa lunghezza d’onda. Macron è più liberale, Valls ha un più forte senso dell’autorità, ma non sono in guerra. Al massimo sono in concorrenza. Remano dalla stessa parte, e i dissapori, dopo la pubblicazione del j’accuse di Aubry e della sinistra radicale, spariranno a poco a poco”.
Ex direttore del quotidiano economico Echos, poi del Figaro di Dassault, e infine ceo del polo media del gruppo del lusso Lvmh, Beytout individua nel progetto di riforma del mercato del lavoro difeso dalla ministra El Khomri una “grande occasione per i riformisti”, l’occasione, per riprendere le parole di Valls, di vincere contro la gauche del Diciannovesimo secolo, lui che è invece il rappresentante della gauche del Ventunesimo secolo”. “E’ un progetto che certamente non regola tutte le questioni, ma ha il merito di affrontare di petto due temi importanti: provare a eliminare la paura di assumere degli imprenditori rendendo più facili i licenziamenti in caso di difficoltà dell’impresa, e introdurre una vera democrazia nelle aziende, con il referendum aziendale per aggirare il blocco dei sindacati, che sono minoritari (il 6 per cento dei francesi è iscritto al sindacato, ndr), ma molto politicizzati. C’è ancora molto da fare per ridurre il peso dei sindacati in Francia e per la competitività del paese, ma la legge va nella buona direzione”.
Perché, nonostante Macron, l’Opinion, think tank liberali stimati come l’Institut Montaigne e la Fondation iFrap, è ancora difficile parlare di “liberalismo” in Francia senza essere guardati di sbieco? “La principale ragione è che una grande parte della sinistra francese resta ancora aggrappata a delle idee che sono state invece abbandonate dalla sinistra inglese, con Tony Blair, dalla sinistra tedesca, con Schröder, e da quella italiana, con Renzi. La Francia ha una porzione di sinistra che mantiene ancora dei vecchi riflessi, e in questi riflessi c’è il rifiuto profondo del liberalismo”. L’asse dei riformisti è per Beytout “la speranza di molti, ma non sarà facile perché l’arrivo di Corbyn in Gran Bretagna, ad esempio, è un grande passo indietro, e ciò che minaccia l’asse dei riformisti è anche l’avanzata di una destra dura e del populismo in molti paesi europei”. Il settimanale Point, la scorsa settimana, ha eletto Bruno Le Maire il “Macron di destra”, ma per Beytout “non c’è nessuno attualmente che ha il carisma e il talento del giovane ministro dell’Economia”. “A destra, ai piani alti, ci sono ancora gli stessi di vent’anni fa, Sarkozy, Fillon, Juppé, Bayrou, non c’è l’equivalente di Emmanuel Macron tra i neogollisti”, dice il direttore dell’Opinion. E quando qualche giornalista pigro gli chiede come ci si sente a essere direttore di un quotidiano “di destra”, lui risponde: “Non è di destra, è liberale”. Come quel Macron che Beytout vorrebbe all’Eliseo già nel 2017.
Categoria Estero