In Francia la sinistra si interroga su chi è più di sinistra
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Aubry, "elefantessa" dei socialisti francesi, lancia l'assalto al premier Valls. Dirigismo vs liberismo, è il punto di rottura
di Mauro Zanon | 25 Febbraio 2016 ore 10:30 Foglio
A Parigi la “question du jour” la pone il Figaro in prima pagina: “Codice del lavoro: Hollande resisterà alla sua sinistra?”. Lo sperano i think tank liberali parigini, Institut Montaigne e Fondation iFrap, che nel progetto di riforma del mercato del lavoro difeso dalla ministra El Khomri hanno grande fiducia, e lo sperano anche i riformisti del Partito socialista, il premier Valls, strenuo difensore del testo legislativo, e il ministro dell’Economia Macron, il più liberale della gauche. Ma chissà se alla fine dell’iter parlamentare e dopo la violenta tribune pubblicata ieri sul Monde da Martine Aubry, l’“elefantessa” del Partito socialista, resterà intatto il pacchetto di misure che mira a snellire l’ipertrofico codice del lavoro, a iniettare flessibilità a un mercato troppo ingessato, e a scalfire – finalmente – l’intoccabile santuario goscista delle 35 ore.
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“Uscire dall’impasse”, l’intervento promosso dal sindaco di Lille, assetata di vendetta dopo la sconfitta non ancora digerita delle primarie di partito del 2011, è firmato dalla crème della gauche radicale parigina, tra cui spiccano il sessantottardo Daniel Cohn-Bendit, l’ex ministro dell’Istruzione Benoît Hamon, il sociologo Michel Wieviorka, il vicesindaco di Parigi, Bruno Juillard, e il capofila dei frondisti Christian Paul. I toni della requisitoria contro il duo di governo, Hollande e Valls, e i “neoliberisti” Macron e El Khomri, sono allarmati: “Non è solo il fallimento del quinquennato che si profila, ma anche un indebolimento durevole della Francia che si prepara, e naturalmente della sinistra, se non ci sarà una battuta di arresto alla caduta nella quale siamo trascinati (....) Quando è troppo è troppo!”.
Il punto di non ritorno per i firmatari è stata la svolta social-liberale intrapresa dall’esecutivo all’inizio del 2014 e culminata con l’entrata nel governo del “fottuto banchiere” – così lo chiamano – Emmanuel Macron. Dopo questi due “tradimenti”, per la Aubry & Co ci sarebbero stati “passi indietro”, “41 miliardi buttati al vento” per il patto di responsabilità, “il desolante dibattito sul ritiro della nazionalità”, “la ferita dell’indecente discorso di Monaco di Baviera” tenuto da Valls sui migranti, e le misure “inefficaci” del progetto di legge El Khomri. Conclusione in forma di appello: “Cosa resterà degli ideali del socialismo quando giorno dopo giorno avremo minato i suoi principi e le sue fondamenta?”.
Per Libération, tra Aubry e Valls, ossia tra “madame 35 heures” e colui che per primo ha messo in discussione il feticcio dei socialisti, “la guerra è (ri)dichiarata”. È lo scontro massimo tra due idee di sinistra, quella di Aubry che vuole restare aggrappata ai vecchi dogmi ed è malata cronica di dirigismo, e quella di Valls che vuole invece sintonizzare la Francia con le frequenze della modernità e secondo cui “essere di sinistra è concedere diritti ai lavoratori ma anche avere fiducia nelle imprese”.
Il ministro delle Finanze, Michel Sapin, ha invitato i firmatari a “evitare le posture”, soprattutto quando la Francia e la sinistra “si trovano in un momento difficile”. Per Jean-Marie Le Guen, sottosegretario di stato per le relazioni con il Parlamento, “Martine Aubry non ha ancora metabolizzato la sconfitta alle primarie subita quattro anni fa”, mentre François Bayrou, leader dei centristi del MoDem non esita a parlare di “frattura della gauche”.
A destra si è aperto subito un boulevard per le critiche, con il senatore dei Républicains, Roger Karoutchi, che dice di godersi “lo spettacolo della sinistra esplosa”, e Jean-Pierre Raffarin che sentenzia: “La gauche destabilizza la gauche”. Aubry, così come Cohn-Bendit, sono il simbolo di quell’internazionale dell’illusione, di quella gauche Peter Pan transnazionale, che non solo ha fallito quando è stata al potere, ma è ora respinta dagli elettori, i quali, come evidenziano gli ultimi sondaggi, vedono Valls e Macron quali migliori interpreti del “futuro della sinistra”. Il commento più ficcante al j’accuse della sinistra giacobina è del politologo Gérard Grunberg sul Figaro, secondo cui la crisi del Ps è la più grave dal 1971: “La sinistra del Ps non accetta la realtà. Nell’intervento pubblicato sul Monde non c’è un briciolo di proposta, nessuna soluzione alternativa! Vogliono semplicemente continuare come prima, con la politica della domanda. I liberali ritengono invece che la politica dell’offerta è necessaria per riassorbire il tasso di disoccupazione e promuovere la crescita”.