Le quote rosa di stato non funzionano. Guardate quanti danni in Giappone

L'economista della womenomics si dedica alla musica. Abe e Hamada hanno tentato di inserire le quote rosa obbligatorie per i posti di comando delle grandi aziende: il mese scorso ne sono state premiate soltanto sette per aver raggiunto il 15 per cento di donne-manager

di Giulia Pompili | 24 Gennaio 2016 Foglio

Roma. C’è una bellissima fanciulla dietro una montagna. Sembra una metafora della Womenomics, e invece è la traccia numero 14 del primo album di Koichi Hamada, l’emerito di Yale, ottantenne economista famoso nel mondo soprattutto per essere l’autore dell’Abenomics, la strategia economica del primo ministro nipponico Shinzo Abe. Hamada – che tra poco pubblicherà un libro con Paul Krugman sull’economia globale – ha fatto un album di diciotto tracce scritte di suo pugno. Dice che è sempre stata una sua grande passione, la musica, e i suoi componimenti sono stati eseguiti da concertisti giapponesi di alto livello. Il cd si chiama “Heiwa no Hato”, la colomba della pace (si trova su cdjapan.co.jp per 20 euro).

ARTICOLI CORRELATI  Contro le quote rosa  Ma quale gender equality, i millennial americani vogliono il capo maschio

C’è una bellissima fanciulla dietro una montagna, dicevamo. Non è un caso che l’economista che vuole riportare le donne a lavorare, in Giappone, poi ne canti la bellezza in musica. Perché c’è un fatto che forse il governo di Abe inizia a percepire: le quote rosa di stato non funzionano. La Womenomics, la strategia che dal 2012 fa parte del programma di governo, in poco più di tre anni ha lanciato parecchie iniziative per far fronte al problema demografico e della forza lavoro che in Giappone è sempre più cospicua. Un problema che unito a un preoccupante tasso di natalità rischia di contribuire alla stagnazione economica. Nel 2014 un quarto della popolazione giapponese superava i 65 anni a fronte di un milione di bambini nati (nel 2015 ne sono nati soltanto ottomila in più). Con la Womenomics, Abe e Hamada hanno tentato di inserire le quote rosa obbligatorie per i posti di comando delle grandi aziende: il mese scorso ne sono state premiate soltanto sette per aver raggiunto il 15 per cento di donne-manager. L’obiettivo era di averne il 30 per cento, una percentuale che il governo è stato costretto a rivedere al ribasso (adesso Tokyo chiede alle aziende di avere “almeno il 7 per cento” di donne in posizioni dirigenziali).

La scorsa settimana la prefettura di Kanagawa ha lanciato la sua personale iniziativa per contribuire alla causa rosa. E’ stato costituito un panel di imprenditori. Dieci uomini. Ennesimo passo falso della campagna di comunicazione, e boomerang sui social network. Ma dove sono finite le donne giapponesi? In un articolo sul Japan Times di qualche giorno fa, l’ex del Financial Times Kevin Rafferty scriveva che ci sono 38 milioni di donne in età lavorativa in Giappone, e altrettante storie che spiegano perché le signore non hanno più posti di primo piano nel mercato del lavoro: “La womenomics è un problema molto più complesso di quanto non fingano i politici”. E di certo, spiega Rafferty, c’è una contraddizione in un governo che chiede alle donne di lavorare, e allo stesso tempo di fare più figli, senza però preoccuparsi di organizzare la società perché si possano conciliare le due cose. A conti fatti l’Abenomics funziona bene, ha detto Hamada in un’intervista allo Yomiuri, mostrando il suo proverbiale ottimismo. Il problema semmai è che in questo momento ci sono “disturbi esterni” che non ci permettono di raggiungere alcuni obiettivi. Parlava della Cina, ma chissà cosa ne pensa la moglie.

Giulia Pompili

Categoria Estero

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata