Il 48% dei siti web Usa blocca automaticamente la pubblicità
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Una supernotizia, per il mondo dell'editoria e della comunicazione, a dispetto del fatto che moltissimi «addetti ai lavori» si spaventeranno all'idea che questo costume tagli le risorse al mercato del web.
di Sergio Luciano Italia Oggi 15.1.2016
Ragazzi, che bella notizia. In America il 48% dei siti web viene trattato dagli utenti con dei software che bloccano la pubblicità. Una supernotizia, per il mondo dell'editoria e della comunicazione, a dispetto del fatto che moltissimi «addetti ai lavori» si spaventeranno all'idea che questo costume tagli le risorse al mercato del web.
Se la gente ricorre agli «ad block» (così si chiamano questi software) significa che, sui siti, vuole leggere le notizie, e non sopporta più di beccarsi interminabili e inutili spottini video ogni due secondi o subire banner che coprono la pagina o ancora interstitial che la oscurano; significa che la gente ha sviluppato dei sani anticorpi contro l'orgia di pubblicità ripetitiva e invasiva che il web ci vomita addosso di continuo. E che, attenzione: di solito serve assai poco a chi la paga!
Gli insider sanno che quello della pubblicità è un mercato emotivo ed emulativo, dove molti si agitano al puro scopo di esistere, sentirsi vivi e fare quel che fanno i concorrenti. Dieci anni fa, si pensava che il web, essendo un media che offre la reale possibilità di misurare i contatti che un determinato contenuto pubblicitario ottiene col pubblico, avrebbe razionalizzato il sistema. Al contrario: è vero che oggi i contatti si misurano, ma si è perso il senso logico che – in passato – riportava il valore dei contatti stessi alla loro efficacia commerciale, e non alla loro mera numerosità.
Quando negli anni 80 Berlusconi lanciò le tv commerciali, prevalse sul mercato, offrendo agli inserzionisti contratti pagabili in base ai risultati di vendita che le campagne determinavano: tot spot in onda, tot detersivi venduti, tot soldi pagati all'emittente. Che bei tempi. Oggi invece la formula è: tanti banner mandati online, tanti contatti conteggiati, vendite piatte.
E allora perché si continua? Perché costa pochissimo e lo fanno tutti. E i consumi restano inerti. E le campagne che incidono sulle vendite e fanno le differenze tra i prodotti sono rarissime. Una nuvola di rumore mediatico fondamentalmente inutile.
Il rimedio proposto dalle teste d'uovo americane? Addio banner, paghiamo direttamente i contenuti, i branded content, alias – in gergo italiano – le marchette. Come se i consumatori avessero l'anello al naso e non sapessero distinguere un articolo critico da un soffietto. Non funzioneranno neanche loro. Non più di quanto funzionassero sui media tradizionali, cioè poco.
Tutto questo è un bene perché i fiaschi, pian piano, elimineranno gli eccessi dal mercato e la pubblicità, riducendosi, riprenderà ad aver valore, e con essa i media che la veicolano.
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