Chi è solidale davvero nella guerra contro al Baghdadi?
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Hollande incassa il sostegno di Cameron (che andrà in Parlamento per ottenere il voto sui raid in Siria), ma il resto del suo tour diplomatico è pieno di imprevisti
di Paola Peduzzi | 23 Novembre 2015 ore 13:56 Foglio
Milano. Questa è la settimana in cui François Hollande vuole dare un significato concreto alla parola “solidarietà”. Dopo gli attacchi di Parigi, il presidente francese ha chiesto ai suoi interlocutori internazionali di combattere uniti lo Stato islamico, invocando l’articolo 42,7 del Trattato europeo – i partner europei hanno risposto sì, certo, siamo tutti insieme, ma si tratta per lo più di parole: finora non ci si è accordati su nulla, nemmeno sul semplice raccordo dei dati alla frontiera esterna di Schengen, per dire – e organizzando incontri bilaterali con i principali player della lotta al terrorismo. Questa mattina Hollande ha incontrato il premier britannico, David Cameron, in visita a Parigi – sono andati davanti al Bataclan, prima dell’incontro – e il riscontro è stato positivo: il leader conservatore inglese ha detto di sostenere “fermamente” l’azione francese “per colpire lo Stato islamico in Siria”, ha offerto la possibilità all’aviazione francese di utilizzare la base militare britannica a Cipro e un’ulteriore assistenza nel fornire carburante in volo nelle azioni contro lo Stato islamico. Questo è soltanto il primo passo, ha detto Cameron, annunciando – non è la prima volta – che il Regno Unito farà come i francesi, e inizierà a colpire anche in Siria.
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La strategia britannica nella lotta al terrorismo è da tempo sotto pressione: la leadership militare ha accusato in più occasioni Cameron di non avere una visione onnicomprensiva per combattere lo Stato islamico. Indiscrezioni, interviste, retroscena: in questi ultimi mesi dal comparto della Difesa i segnali di nervosismo sono stati tanti, ma il premier ha il problema di andare a chiedere in Parlamento un voto per allargare i bombardamenti alla Siria soltanto nel momento in cui ha una relativa certezza di poter ottenere un risultato positivo. Pesa già, nella storia recente di Cameron, il voto perso nel 2013 quando si pensava che sarebbero partiti di lì a poco i raid contro il regime di Damasco, che aveva utilizzato le armi chimiche contro i siriani. Non se ne fece nulla, come si sa, ma il premier inglese si rese conto che sulla questione pesavano tante variabili intrecciate: quelle politiche, legate a un sentimento anti guerra prevalente in Gran Bretagna, e quelle storiche, che vanno alla guerra in Iraq e alla cosiddetta “lezione” con cui il paese non ha ancora fatto i conti. L’arrivo di Jeremy Corbyn alla guida del Labour ha complicato ancora di più i calcoli cameroniani: Corbyn è espressione della sinistra “stop the war” che ha diramazioni un po’ in tutto il paese.
Ora Cameron ha deciso di insistere: giovedì si presenterà ai Comuni con un piano di intervento contro lo Stato islamico e chiederà il voto per bombardare anche in Siria. Corbyn è sempre al suo posto, ma la sua reazione agli attacchi di Parigi ha provocato una rivolta interna al Labour – una delle tante, si dirà, ma alcune sono più efficaci di altre – che ha fatto emergere un altro dettaglio della formazione ideologica di Corbyn: il leader laburista è sistematicamente anti occidentale ma non è sistematicamente anti guerra. Ha detto che in casi di estrema necessità l’utilizzo delle armi è inevitabile – “lo farei anche io da premier” – e pare che lascerà ai laburisti libertà di voto sulla Siria, mentre fino a ora voleva piegare tutto il partito al voto contrario. Non è possibile prevedere come andrà a finire, ma Cameron è convinto che la sua proposta passerà, perché la sua visione non si riduce soltanto a un’operazione militare. Il premier ha annunciato di voler aumentare il budget della Difesa, ha ripetuto, in un articolo pubblicato sul Telegraph, che la Gran Bretagna è in prima fila negli aiuti umanitari, oltre ad aver già iniziato quella operazione “cuori e menti” per combattere culturalmente e socialmente l’estremismo islamico dentro il paese. E’ quella che Cameron definisce “la battaglia di una generazione”, e se il suo calcolo dovesse infine funzionare, la solidarietà britannica potrebbe essere concreta in breve tempo.
L’offensiva di Hollande per capire chi davvero è disposto a spendersi nella guerra al terrore non è tutta altrettanto semplice. Domani il presidente francese volerà a Washington per incontrare Barack Obama, il quale è stato molto reattivo nel condannare “l’attacco contro tutta l’umanità” a Parigi, ma pretende che l’iniziativa militare, se dovesse prendere una forma diversa da quella aerea, parta dall’Europa e dai paesi della regione mediorientale. Di ritorno dall’America, Hollande incontrerà Angela Merkel, la cancelliera tedesca che ha per ora dimostrato di non volere un ruolo di leadership (né grandemente operativo) nella lotta allo Stato islamico. Infine, proprio mentre l’alleato per ora “sicuro” Cameron farà la conta in Parlamento per capire chi sta con lui e chi no, Hollande andrà a Mosca a incontrare Vladimir Putin. L’Eliseo ha deciso di accantonare la questione del regime change a Damasco, su cui si era molto speso, per favorire un allineamento con i russi sulla guerra allo Stato islamico. Ora è necessario capire se il compromesso offerto da Parigi sarà sufficiente per creare un coordinamento fattivo con Putin sulle operazioni militari, o se anche in questo caso la solidarietà sarà soltanto una facciata per perseguire i propri interessi.
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