Il fronte africano della jihad dove i nemici sono i cristiani
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Dietro l’attacco a Bamako un gruppo affiliato ad Al Qaeda e corteggiato da Isis per il progetto di terrore globale
21/11/2015 MAURIZIO MOLINARI GERUSALEMME, La Stampa
Cattura di ostaggi stranieri, assalto a un simbolo della presenza occidentale e selezione dei cristiani incapaci di pronunciare la «Shahada», la professione di fede islamica: sull’attacco al Radisson Blu di Bamako, in Mali, ci sono le impronte dei salafiti del Sahel, protagonisti del fronte africano della Jihad contro la Francia.
«Most Wanted»
Resta da appurare se il mandante sia l’imprendibile Mokhtar Belmokthar o il suo colonnello ribelle Adnan Abu Walid al Sahrawi. La rivalità fra i due leader del «Mourabitoun» (Le sentinelle) nasce da quanto avvenuto a metà maggio quando Al Sahrawi ha scelto di giurare fedeltà al Califfo dello Stato Islamico (Isis), Abu Bakr al-Baghdadi, con un gesto di rottura rispetto a Belmokthar, cresciuto dentro «Al Qaeda nel Maghreb Islamico», protagonista nel 2012 del tentativo di Al Qaeda di creare un mini-Stato jihadista nel Nord del Mali, autore nel gennaio 2013 della cattura di 800 ostaggi stranieri nell’impianto di gas algerino «In Amenas» e ancora legato ad Ayman al-Zawahiri, successore di Osama bin Laden, pur avendo creato una propria costellazione jihadista: fondando due anni fa «Al Mourabitoun» dalla confluenza fra i fedelissimi del «Battaglione al-Mulathamun» (Coloro che firmano con il sangue) e il Movimento per l’unione dei jihadisti in Africa Occidentale. Belmokhtar, 43 anni, è il terrorista «Most Wanted» del Maghreb: più volte Parigi e Washington hanno creduto di averlo eliminato - anche con i droni - e lui è sempre puntualmente ricomparso dal nulla fino a meritarsi dagli 007 di Parigi il soprannome «L’imprendibile».
Duello interno
La fama di ferocia e abilità fa gola al Califfo che negli ultimi 18 mesi ha tentato di reclutarlo in ogni modo: i siti jihadisti hanno descritto scambi di messaggi somiglianti a una sorta di corteggiamento ma Belmokhtar ha finora sempre evitato l’adesione a Isis e nei servizi di intelligence occidentali c’è chi ritiene che dietro la difesa a oltranza della propria indipendenza d’azione ci sia il timore di perdere il controllo di traffici illegali nel Sahara - dalle armi alla droga, dalle sigarette agli esseri umani - che gli rendono milioni di dollari al mese con cui paga gli stipendi a volontari arabi e tribù tuareg. È tale resistenza alle offerte del Califfo che ha generato lo strappo di Al Sahrawi, consentendo a Isis di insediarsi in Mali, ovvero un teatro di operazioni fra il Nord della Nigeria, dove opera Boko Haram divenuto parte dello Stato Islamico, e il Maghreb dei gruppi salafiti algerini, tunisini e libici a lui fedeli.
Galassia di sigle
Attorno al duello tutto interno ai «Mourabitoun» ruota una galassia di gruppi jihadisti che continua a operare nel Nord del Mali e ha nei difensori della fede di «Ansar Dine» l’espressione più organizzata. Per tutti costoro la Francia di François Hollande è il nemico da battere perché fu l’Eliseo, nel gennaio 2013, a guidare l’intervento militare che spazzò via la possibilità di creare l’enclave jihadista attorno a Kidal e Gao. E da allora è la Francia ad addestrare le unità anti-terrorismo di una dozzina di nazioni dell’Africa Occidentale impegnate a fronteggiare soprattutto Boko Haram. In totale i soldati di Parigi in questo scacchiere sono 3000. Ecco perché Patrick Maisonnave, ambasciatore francese in Israele, descrive il suo Paese «in prima linea contro i jihadisti su due fronti, in Siria-Iraq e nell’Africa Occidentale». Se con il massacro di Parigi Isis ha voluto rispondere ai raid aerei contro Raqqa e Mosul, con l’assalto di Bamako i «Mourabitoun» attestano che lo scontro terrestre in Mali con legionari e parà resta aperto.
Su ogni fronte l’offensiva anti-francese ha caratteristiche proprie: in Siria-Iraq il Califfo imputa agli «infedeli» l’alleanza con gli «apostati» perché in Medio Oriente il suo primo nemico sono gli sciiti mentre i terroristi del Radisson Blu hanno usato la recitazione della «Shahada» come un’arma perché in Africa Occidentale i nemici da umiliare ed eliminare sono anzitutto i cristiani.
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