La nuova "Soumission" e l'islamismo. Perché Parigi è odiata come “capitale della blasfemia”
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Speravano di guarire l’islam con l’illuminismo, e oggi vanno in giro nella banlieu scortati come capi di stato. Parigi città di Boualem Sansal, scrittore algerino di rango e tacciato di “islamofobia”, appena premiato dall’Academie Francaise.
di Giulio Meotti | 14 Novembre 2015 ore 11:13 Foglio
Hanno colpito Parigi “capitale della blasfemia”, come la chiamano gli islamisti nei loro forum. La città non soltanto di Charlie Hebdo con la sua irriverenza, ma della “Soumission” di Michel Houellebecq, degli ultimi intellettuali liberi d’Europa, come non se ne trovano altrove, non a Berlino, non a Roma, non a Londra. Giornalisti come Caroline Fourest, che ha appena pubblicato un libro dal titolo “Elogio della blasfemia”. Giornali come Le Point, che in copertina mette Alain Finkielkraut e le sue tirate pessimiste sul futuro multiculturale della Francia. Parigi ospita i pochi imam davvero “moderati” d’Europa, che speravano di guarire l’islam con l’illuminismo, e che oggi vanno in giro nella banlieu scortati come capi di stato. Parigi città di Boualem Sansal, scrittore algerino di rango e tacciato di “islamofobia”, appena premiato dall’Academie Francaise.
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Parigi città della laicitè aggressiva e usata come tigre di un’integrazione in coma, della libertà di coscienza come dovere civile, di quella di satira, il paese che ospita il più grande partito fieramente antislamico d’Europa (Marine Le Pen), la più vasta e prospera comunità ebraica del vecchio continente e che ha varato una legge, la Stasi, che ha proibito il velo islamico. All’epoca del caso Rushdie, nel 1989, una parte consistente dell’establishment britannico si schierò contro lo scrittore e a favore dei musulmani, della loro “rabbia”: letterati, giornalisti, cardinali, politici, non si contavano. In Francia nessuno, tutti invece a invocare il “diritto alla blasfemia” in democrazia e Voltaire, non a caso autore di un libro maledetto per l’islam, “Maometto o il fanatismo”. Parigi città-rifugio dei grandi esuli democratici dall’Iran khomeinista, raggiunti dai sicari della Rivoluzione khomeinista e uccisi nelle brasserie della capitale, come ieri notte.
Durante le stragi in Algeria negli anni Novanta, quando furono uccisi decine di giornalisti e scrittori, l’accusa degli islamisti fu quella di “francofonia”. Troppo legati a Parigi, alla sua cultura, alla sua lingua, ai suoi clivage identitari. Gli obiettivi di quest’operazione del jihad parigino erano ristoranti e bar, teatri e stadi, luoghi di edonismo e libertinismo. “Amiamo la morte così come voi amate la vita”, lo ripetono dall’11 settembre, mentre freddano con calma sorridente masse di “infedeli”. Non c’era città migliore di Parigi in cui inverare questo motto funebre.