Il colonnello dei Peshmerga: “Vi racconto la battaglia di Kobane”
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Tawfiq Duski: «La comunità internazionale si deve muovere, deve fare di più. Questa non è più solo la guerra dei curdi, ma è la guerra di tutta l’umanità»
31/10/2015 FRANCESCO SEMPRINI, ERBIL (KURDISTAN IRACHENO) La Stampa
Tawfiq Duski guarda fisso l’obiettivo come in un fermo immagine senza soluzione di continuità, la voce posata perentoria è il racconto dei suoi occhi, gli occhi della guerra, della madre di tutte le guerre contemporanee, quella siriana. Tawfiq Duski è un colonnello dei Peshmerga, i combattenti del Kurdistan iracheno, e un reduce della battaglia di Kobane, la città siriana al confine con la Turchia teatro di una durissima battaglia per liberarla dall’occupazione degli jihadisti dello Stato islamico.
«Il 28 ottobre 2014 sono stato chiamato dal presidente Barzani, con l’ordine di andare a Kobane, noi eravamo di stanza a Sinjar nelle montagne al confine tra Iraq e Siria. Ci hanno chiesto di andare a trovare i curdi siriani impegnati in uno scontro furibondo contro gli uomini del Califfo», ci racconta Duski. Lo incontriamo nella caserma di Kanikarzala, vicino Erbil, capitale del Kurdistan iracheno dove i Paracadutisti italiani addestrano i militari curdi impegnati nella lotta alla bandiere nere dell’Isis. Tra questi c’è un manipolo di reduci di Kobane, una parte dei 175 Peshmerga che circa un anno fa parteciparono alla liberazione della città. «Il 29 ottobre ci siamo posizionati a ridosso del confine, attraversando un pezzo di Turchia - ricorda il colonnello - Ma Ankara ci ha fatto attendere prima di darci il via libera ed entrare, non abbiamo mai capito perché. Solo in seguito alle insistenze del nostro presidente con Erdogan ci hanno dato il via libera».
Quando i 175 Peshmerga sono giunti nei pressi di Kobane il 75% della città era nelle mani dello Stato islamico. Il 1° novembre i militari di Duski si sono dispiegati sull’area di cinta di Kobane, mentre a dar manforte sono accorsi anche arabi sunniti moderati, e alcune formazioni cristiane di siriaci. «La battaglia è stata furente, all’inizio Daesh (nome arabo di Isis) tentava di sfondare la linea di resistenza usando la macchine bomba, ma non ci sono riusciti, e dopo un po’ hanno iniziato a ripiegare mentre davamo corso alla controffensiva».
Dopo 40 giorni dall’intervento dei Peshmerga la parte di Kobane sotto il controllo degli jihadisti è scesa al 40 per cento. «Era la metà di dicembre all’incirca quando siamo tornati in Kurdistan, - prosegue Duski - mentre altri nostri militari sono partiti alla volta della Siria per proseguire la campagna di liberazione della città». Oggi Kobane è stata liberata del tutto ed è sotto il controllo dei curdi e di alcune formazioni cristiane. Di quella battaglia furente sono stati riportati nel Kurdistan iracheno un furgoncino dove viaggiava un gruppo di combattenti crivellato di colpi e con evidenti ancora le tracce del sangue versato dai «fighter» a bordo. E un pezzo di artiglieria pesante un cannone con cui si sono sparate bordate per fare breccia nel muro di resistenza di Daesh. Chiediamo al colonnello cosa fa più paura delle forze al servizio di Abu Bakr al-Baghdadi.
«Sono temibili i kamikaze, le macchina bomba, la loro follia, - ci risponde - Ma abbiamo imparato a non avere paura nemmeno di quello». Se i Peshmerga non fossero andati a Kobane la città sarebbe stata distrutta, ribadisce Duski, il quale ricorda che tra i 175 Peshmerga da lui comandati uno solo è rimasto ucciso sul campo di battaglia, mentre dodici sono stati i feriti. «Per noi il Kurdistan è tutto uguale quando ci chiedono aiuto noi andiamo ad aiutarli ovunque, siamo pronti a intervenire ogni qual volta il nostro presidente lo chiede».
La guerra allo Stato islamico per il colonnello Duski e per i suoi uomini prosegue, ora accanto ai militari italiani che assieme ad altri sette Paesi preparano le forze curde per tornare al fronte più forti di prima. «Siamo grati e onorati dell’aiuto degli italiani, può cambiare le sorti della guerra, ma abbiamo bisogno di più armi efficienti - conclude il colonnello - La comunità internazionale si deve muovere, deve fare di più, anche perché adesso questa non è più solo la guerra dei curdi, ma è la guerra di tutta l’umanità».
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