Il nemico più sinuoso di Israele è la disinformazione
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Oltre ai coltelli. Cancellate le vittime ebraiche del terrore
Un gruppo di palestinesi a Gerusalemme est (foto LaPresse)
di Giulio Meotti | 12 Ottobre 2015 ore 17:13
Trentatré anni fa Bruno Zevi, esule in America durante le leggi razziali, salì in Campidoglio dopo l’attentato alla sinagoga costato la vita a Stefano Gay Taché: “Noi accusiamo. In un mondo sconvolto dalla violenza, i nostri mezzi di informazione hanno dato il massimo rilievo solo alle azioni dell’esercito israeliano. E i terroristi palestinesi sono considerati mansueti, pacifici…”. Chissà cosa direbbe quell’antifascista di rango se vedesse quel che scrivono oggi i giornali su Israele. Perché lo stato ebraico, oltre ai coltelli della Terza Intifada, deve affrontare anche un nemico più sinuoso: la disinformazione. La Stampa: “Sette palestinesi uccisi”. Il Fatto: “Venerdì d’Intifada con sette palestinesi uccisi”. Il Messaggero: “L’esercito uccide sette palestinesi”. Gli israeliani feriti e assassinati sono scomparsi, mentre i palestinesi non sono morti, ma “uccisi”. “Polizia e giovani palestinesi si scontrano” e non si sa perché. E la stampa pedissequa accetta la storia delle moschee minacciate.
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E cosa c’è di meglio di una mostra al Museo di arte contemporanea di Roma? E’ “Wallonwall” della fotografa tedesca Kai Wiedenhöfer, dove la barriera di Israele, che sta limitando la conta di morti e feriti del terrorismo, è paragonata al Muro di Berlino. Non poco scandalo ha generato in Germania, tanto da spingere i socialdemocratici a chiederne la sospensione. Un graffito sul fence israeliano reca la scritta “Varsavia 1943”, accompagnato da una svastica e dalla stella di Davide. Clemens Heni, politologo studioso di antisemitismo, ha detto che le foto di Wiedenhöfer sono “la tipica espressione del nuovo antisemitismo”. A differenza delle barriere fra Stati Uniti e Messico o le due Coree, che servono per fermare i movimenti di popolazione, quella d’Israele è l’unica al mondo che deve impedire che inermi cittadini vengano pugnalati e fatti saltare in aria. L’inversione dei ruoli prevede anche che Israele diventi l’aggressore. Mercoledì, alla benemerita Fondazione Einaudi in largo dei Fiorentini a Roma, sarà presentato un libro dal titolo sinistro: “Israele, il killer che piange”. E in Francia ha fatto scandalo la decisione del colosso editoriale Larousse, in un libro per bambini, di definire l’antica “terra promessa” come la “moderna Palestina”. In questo modo il terrorismo contro Israele viene accettato come se fosse una risposta naturale contro coloro che “occupano” una terra altrui. Lunedì il Guardian, giornale simbolo delle élite pacifiste inglesi, ha ospitato un editoriale a favore dell’Intifada firmato niente meno che da Marwan Barghouti, che sconta cinque ergastoli in un carcere israeliano non perché sogni “la pace”, ma perché ha ordinato l’uccisione di tanti israeliani. Palermo, la città delle stragi di mafia, gli ha anche concesso la cittadinanza onoraria.
Per tornare a trentatré anni fa, il grande Arnaldo Momigliano disse che “sarebbe una follia concludere su una nota di ottimismo quando un bambino ebreo può essere assassinato nella sinagoga di Roma senza che si manifesti un sollevamento dell’opinione pubblica”. Oggi l’opinione pubblica è stata direttamente anestetizzata sull’uccisione degli ebrei. Papa Francesco ha aperto i lavori del Sinodo con una preghiera per “Siria, Iraq, Gerusalemme e Cisgiordania”. Non manca il nome di uno stato nella lista?
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