Putin e la guida delle nazioni disunite
- Dettagli
- Categoria: Estero
Il presidente russo "ruba il momento" del collega americano e attacca le operazioni dell'occidente in Iraq e Libia. Per risolvere la crisi siriana bisogna collaborare con Assad, dice. Le condizioni per i bombardamenti
Il bilaterale tra Vladimir Putin e Barack Obama ieri all'Onu (foto LaPresse
di Redazione | 29 Settembre 2015 ore 11:12 Foglio
La Russia sta considerando la possibilità di partecipare ai bombardamenti contro lo Stato islamico della coalizione internazionale in Siria e Iraq, ha detto il presidente russo Vladimir Putin parlando ieri in tarda serata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Questo è sembrato a molti uno dei maggiori segnali di apertura nel botta e risposta a distanza di poche ore tra Putin e il presidente americano Barack Obama, in un’Assemblea che doveva essere l’atto iniziale di una manovra diplomatica in favore della pace in Siria e che invece è diventata occasione di scontro tra i due presidenti.
ARTICOLI CORRELATI Frantumi siriani Il Cav. diplomatico Il realismo paradossale di Obama Una Yalta per la Siria
“Putin ha rubato il momento di Obama sul palcoscenico del mondo”, ha titolato la Cnn (“Putin steals Obama's thunder on the world stage”) per descrivere la risposta del presidente russo al discorso di Obama, che ha pronunciato una vibrante difesa della democrazia e dei valori liberali, e una condanna delle “correnti pericolose rischiano di spingerci indietro in un mondo più buio e meno ordinato” (riferimento poco velato a Putin). “Il presidente russo è arrivato alle Nazioni Unite lunedì per la prima volta in un decennio, proponendo un rovesciamento della leadership globale degli Stati Uniti e cercando di strappare dal controllo americano il controllo della coalizione contro lo Stato islamico”, scrive sulla Cnn Stephen Collison. Putin si è scagliato contro le operazioni americane in Iraq e Libia per dimostrare che l’interventismo e l’unilateralismo americano hanno provocato disastri in medio oriente, lasciando un vuoto di potere riempito da “estremisti e terroristi”: “Vi rendete conto di quello che avete fatto?”, ha detto. Per evitare gli errori di Bush in Iraq e di Obama in Libia, ha detto Putin, “Pensiamo che sia un errore enorme rifiutare di cooperare con il governo siriano, che sta combattendo con coraggio il terrorismo faccia a faccia”.
Il destino del presidente siriano Bashar el Assad è uno dei nodi principali per la risoluzione del conflitto in Siria, ed è uno di quelli su cui lo scontro è più duro, perché se per Putin Assad deve rimanere, poche ore prima Obama aveva detto che non è possibile dialogare con un dittatore che getta barrel bomb sui civili, e il presidente francese François Hollande, parlando ai giornalisti, aveva definito Assad il maggior colpevole del conflitto siriano, nonostante gli atroci crimini dello Stato islamico. Entrambi i governi americano e francese, tuttavia, si sono detti pronti a discutere una fase di transizione in Siria che preveda la permanenza a tempo di Assad a Damasco.
In difesa del governo siriano e, ha detto il Cremlino, in un’operazione contro lo Stato islamico questo mese la Russia ha installato una base aerea nel porto siriano di Latakia e domenica ha inaugurato un’alleanza militare per la condivisione dei dati d’intelligence con un fronte sciita composto da Siria, Iran e Iraq. Queste mosse unilaterali, che pure hanno colto l’Amministrazione americana di sorpresa e provocato le proteste di Washington, sono viste tuttavia da molti governi occidentali come una presa di responsabilità importante del governo russo in un teatro di guerra in cui l’America latita e gli stati europei, con poche eccezioni come quella francese, sono restii all’intervento. Nei giorni scorsi sia il ministro degli esteri tedesco Ursula von der Leyen sia quello spagnolo José García-Margallo y Marfil hanno parlato di interessi mutuali con la Russia e il governo siriano. L’apertura a una trattativa con Assad è arrivata anche dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, e perfino il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, nemico giurato del regime siriano, la settimana scorsa è andato in visita da Putin e ha parlato di una transizione che comprenda il rais di Damasco. Non si può certo parlare di una coalizione, ma piuttosto di una serie di intenti e interessi diversi che iniziano tutti a muoversi in una direzione – quella voluta da Putin.
Ieri Obama e Putin si sono inoltre incontrati faccia a faccia alla fine dei lavori dell’Assemblea generale, in una saletta del Palazzo di vetro adornata con bandiere americane e russe. L’incontro è stato a porte chiuse, e i due hanno ignorato le domande dei giornalisti che si accalcavano all’ingresso. Putin ha in seguito definito il dialogo “molto costruttivo, professionale e franco”, ma non ci sono buoni auspici di una maggiore cooperazione sul fronte siriano. Anche la partecipazione da parte russa ai bombardamenti della coalizione è stata vincolata a un’approvazione dell’operazione da parte dell’Onu, che indebolirebbe di fatto la guida americana. Putin inoltre, parlando all’Assemblea, ha escluso la partecipazione di truppe russe in un’eventuale operazione di terra in Siria, nonostante la presenza di centinaia di consiglieri militari e di uomini delle Forze speciali già dislocati a Latakia.
Categoria Estero