Corbyn è una scelta minoritaria e perdente, ma figlia dei flop dell’Europa
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Il neoleader della sinistra inglese è solo l’ultima espressione di un disagio
Newsletter 13/09/2015 GIANNI RIOTTA La Stampa
Il Labour Party, contro ogni aspettativa, ha fatto la scelta più radicale nell’indicare il leader
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Son giornatacce per gli allibratori, Roberta Vinci era data nelle scommesse 300 a 1 agli US Open e Jeremy Corbyn, il deputato dissidente di sinistra, 200 a 1 come nuovo leader del venerabile Labour Party britannico. Roberta è andata in finale, Jeremy ha sbaragliato i concorrenti, finendo con il 60% a capo dell’Opposizione di Sua Maestà, che da repubblicano, peraltro, vuol abrogare.
La vittoria di Corbyn non parla però di passato, di un Michael Foot, colto ed arguto leader laburista che leggeva il Manifesto, sbaragliato da Lady Thatcher, non evoca trotzkisti e anarchici canuti a White Chapel o la moratoria nucleare unilaterale di Tony Benn: agita un possibile futuro, perdente e minoritario ma concretissimo, che l’intera sinistra occidentale ha davanti.
Corbyn si chiama Bernie Sanders in America, il solitario senatore socialista del Vermont che nei sondaggi delle primarie democratiche insidia l’ex onnipotente Hillary Clinton. In Spagna ha il codino di Pablo Iglesias di Podemos, persuaso che la Spagna soffra di due «regimi», dopo Franco il «liberalismo». In Grecia era la smania radicale di Varoufakis, prima che Maestra Realtà temprasse Tsipras. In Italia tanti elettori della minoranza Pd, i formidabili 5 Stelle di Grillo, sindacalisti come Landini, condividono le istanze del Labour radicale: no tagli alla spesa pubblica, disarmo, anti imperialismo Usa, basta con il mercato globale, tariffe, nazionalizzazioni quando serve.
L’intransigenza
Gli old media adesso rinfacciano a Corbyn le gradassate ingenue, per oltre 500 volte ha votato contro il suo partito a Westminster, o l’infelice attacco a Barack Obama dopo la morte di Osama Bin Laden «Una tragedia… non c’è stato neppure un tentativo di arrestarlo o processarlo…», ma son polemiche, non colgono la radice di quel che accade. In America, in Europa e in Italia, è in corso una rivolta contro l’equilibrio economico e politico seguito alla Guerra Fredda. Tecnologia e globalizzazione hanno impoverito ceto medio e classe operaia e chi non ha sapere e tecniche necessari nella nuova economia si sente abbandonato e ha paura. La stessa angoscia, distillata in livore dai demagoghi, polarizza gli elettori anche a destra, con la sorpresa (solo per gli ingenui…). Donald Trump nelle primarie repubblicane Usa, Le Pen in Francia, Ukip a Londra, Orban e Jobbik in Ungheria, da noi la rinata Lega Nord. Movimenti diversi tra loro, Salvini non va confuso mai con Casa Pound, né Grillo con il Front National, ma che colgono, su un altro fronte, la stessa angoscia: i miei figli avranno una vita peggiore della mia?
Contro la globalizzazione
Destra e sinistra che si oppongono a mercato, patti internazionali, Ue, commerci globale, innovazione tecnologica, corporation digitali alla Google, mischiano toni inaccettabili (la misoginia volgare di Trump, il nazionalismo anti emigranti di Le Pen) a proposte interessanti (Sanders sul taglio dei costi della politica), ma tutti pongono ai leader moderati, progressisti o conservatori, una sfida ineludibile. È vero che l’elezione del pacifista Foot costò ai laburisti 17 anni di opposizione e quella del suo predecessore Lansbury altri 13, ma gli elettori che hanno pagato 3 sterline per il diritto di radicalizzare il Labour se ne infischiano dei sondaggi. Chiedono, come i 5 Stelle, una politica pulita, senza sprechi, Corbyn, vegetariano e quasi astemio, va in bici, si veste al mercatino, come rimborso ha riscosso solo l’inchiostro della stampante, ha divorziato dalla mamma dei suoi 3 figli perché non voleva mandarli alla scuola di quartiere ma a una d’élite. Ingenuità, che scaldano però milioni di persone, under 30 e no, nel tam tam ossessivo dei social media.
Capire questo formidabile disagio è indispensabile ai leader che vogliono resistere alla deriva populista, Merkel, Obama, Renzi, Hollande come può, il nuovo Tsipras, Rajoy, Cameron se resiste alle sirene anti Ue di Ukip. Se si illudono di scommettere sullo status quo, fanno la fine di Serena Williams, addio Grande Slam. Devono confrontare la paura dei cittadini con coraggio e rigore, regolare l’economia globale senza protezionismi che porterebbero prima povertà poi nuovi fascismi, dare - via scuola, ricerca, digitale, investimenti su infrastrutture web e no, tagli fiscali - una chance ai ragazzi delle periferie e agli anziani alienati dal vecchio lavoro. Sull’emigrazione resistere agli xenofobi ma senza guerre tra poveri nelle metropoli.
La vittoria dei demagoghi
Dovrebbero leggere il nuovo, magnifico, romanzo di Salman Rushdie, «Due anni, otto mesi & ventotto notti» (Mondadori) con il suo appello alla passione perduta in Occidente: «Sono sempre meno coloro che, tra di noi, generazione dopo generazione, riescono ancora a sognare… Noi leggiamo di voi, O Sogni, nei libri antichi, ma le fabbriche di sogni son chiuse. È il prezzo che paghiamo per pace, prosperità, tolleranza, comprensione, saggezza, bontà e verità: il nostro essere selvaggi, che una volta si liberava nei sogni, è domato, per sempre». Corbyn è stato eletto da chi si illude nel sogno di un Labour selvaggio e invece perderà a manetta. Ma se i leader raziocinanti appaiono burocrati senza passione, mai «selvaggi» nella loro furia di creare benessere e lavoro (tanti Juncker per capirci), il campo va ai demagoghi, e sarà il disastro.
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