Cristiani dello Stato islamico tra espropri e nuovi comandamenti
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L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha ricordato quali sono le alternative proposte nel bouquet del Califfato: convertarsi all’islam, firmare un contratto, pagare la jizya (la tassa imposta ai non musulmani), andarsene
di Redazione | 12 Settembre 2015 ore 12:00 Foglio
Roma. Qualche giorno fa il patriarcato caldeo di Baghdad ha presentato alle autorità irachene un rapporto in cui si evidenziano quattordici casi di espropriazioni abusive dei beni immobiliari appartenenti a famiglie cristiane della capitale, avvenuti negli ultimi mesi. Espropriazioni rese possibili dalla produzione di documenti falsi e coperture di funzionari corrotti. Nel dossier, di cui ha dato conto l’agenzia vaticana Fides, sono elencati anche i nomi dei cittadini cristiani sequestrati o vittime di estorsione. Era stato il primo ministro in persona, Haydar al Abadi, a istituire un comitato ad hoc incaricato di indagare e classificare i casi in questione. Proposta subito accolta con favore dal patriarca Raphaël Louis I Sako. “Almeno il 70 per cento delle case cristiane a Baghdad è stato illegalmente espropriato”, ha detto Mohammed al Rubai, membro del consiglio municipale cittadino. Stavolta non c’entrano le milizie jihadiste del Califfato, ma solo il caos che si è creato in tutto il paese dopo la progressiva estensione territoriale dello Stato islamico. La situazione è fluida, ed “è difficile anticipare quale sarà il futuro per i cristiani nel medio oriente”, si legge in un report della fondazione tedesca intitolata a Konrad Adenauer (Konrad Adenauer Stiftung), anche perché vi è il concreto rischio che paesi come “il Libano e la Giordania, dove i cristiani sono al sicuro, possano essere coinvolti in conflitti con gli stati vicini”. Qualche centinaio di chilometri più a ovest, in Siria, le autocostitute autorità dello Stato islamico hanno già proceduto a far firmare ai cristiani il particolare contratto che garantisce loro la sicurezza in cambio dell’osservanza obbligatoria di alcune norme, ribatezzate subito “gli undici comandamenti”. Basta poco per salvarsi, hanno spiegato i miliziani ai cristiani di al Qaryatayn, centro di quarantamila abitanti nel sudest del governatorato di Homs, conquistato con la forza il mese scorso.
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L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha ricordato quali sono le alternative proposte nel bouquet del Califfato: convertarsi all’islam, firmare un contratto, pagare la jizya (la tassa imposta ai non musulmani), andarsene. Chi si ribella, ci rimette la testa. Il primo divieto è quello di costruire nuove chiese o monasteri, mentre al secondo posto≠è previsto il divieto di esibire simboli religiosi cristiani davanti ai musulmani. Di seguito, è vietato complottare contro lo Stato islamico, possedere armi e commerciare carne di maiale e vino. E’ obbligatorio vestire “con modestia”, non suonare le campane né usare il microfono durante le funzioni. Con un gesto di misericordiosa generosità, i poveri potranno pagare la tassa di 1 dinaro in due rate (è di 4 per i ricchi e di 2 per il cosiddetto ceto medio). Chi accetta, deve firmare. Chi violerà i termini contrattuali, “sarà trattato alla stregua di un combattente nemico”.
Nel frattempo, nel vicino monastero di Mar Elian, in gran parte raso al suolo dai bulldozer lo scorso agosto, è stata profanata la tomba di Sant’Elian: le foto diffuse online la mostrano aperta. Delle reliquie è stato fatto scempio. I presuli locali continuano a chiedere con forza un intervento decisivo per fermare l’orda nera, lasciando da parte discorsi sull’accoglienza di migranti e profughi. Il patriarca della chiesa cattolica greco-melkita, Gregorio III Laham, ha lanciato nei giorni scorsi un appello ai paesi occidentali: “Il punto centrale non è accogliere e ospitare i profughi, ma fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli Stati Uniti. Questo è ciò che aspettiamo, la pace. Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza”. Bisogna fare il possibile, ha aggiunto Gregorio III, per “continuare a essere presenti nella regione, anche se il cristianesimo è un bersaglio. Senza i cristiani, ci sarebbe un vero choc di civiltà”.
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