Un omicidio in strada è un test enorme per il presidente Assad
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Un atto d’arroganza scatena la protesta popolare, come non era mai successo prima, nella città dei fedelissimi del rais
Suleiman al Assad, cugino del presidente Assad
di Daniele Raineri | 12 Agosto 2015 ore 06:18 Foglio
Roma. La sera di giovedì scorso un colonnello dell’aviazione siriana che si chiamava Hassan al Sheikh non ha dato la precedenza a una jeep Hummer nel traffico di Latakia, una città sulla costa siriana controllata dalle forze del presidente Bashar el Assad. A una rotonda successiva la jeep Hummer ha raggiunto l’auto del colonnello, che viaggiava insieme con il fratello e due figli, e con una manovra brusca ha sbarrato la strada. L’ufficiale è sceso e si è qualificato e in condizioni normali questo sarebbe bastato. Alla guida dell’Hummer c’era il cugino del presidente, Suleiman al Assad, di 23 anni, che in un raptus di rabbia ha cominciato a inveirgli contro, ha insultato le forze armate, infine gli ha sparato con un fucile kalashnikov e lo ha ucciso.
Il giovane Suleiman non è un militare, appartiene ai cosiddetti shabiha, che è una casta siriana a metà tra il clan famigliare di mafia e il gruppo paramilitare, che rappresenta e difende gli interessi del presidente. Nella “Suria al Assad”, “la Siria di Assad”, vale a dire nella nazione che vive in funzione del rais, i membri del gruppo si considerano al di sopra della legge. C’è tutta una serie di immagini che fanno di Suleiman quasi la parodia di uno shabiha: le auto potenti e le armi, i capelli corti e la pancetta, vestito mezzo in borghese e mezzo in mimetica, mentre alza le due dita nel segno della vittoria oppure in compagnia del generale iraniano Qassem Suleimani (Suleimani dev’essere un eroe personale per Suleiman, è l’ufficiale che comanda l’unità speciale Al Quds ed è l’architetto della strategia antiguerriglia che tiene al potere gli Assad). Il padre di Suleiman, Hillal, è morto l’anno scorso durante la battaglia per Qassab, a nord della città.
L’omicidio per strada è un test enorme per il presidente: ieri Suleiman è stato arrestato e Assad ha mandato una delegazione a rassicurare la moglie del colonnello, il responsabile della morte sarà punito “chiunque egli sia”. Ma dentro la comunità alawita logorata da una guerra civile ormai arrivata al quinto anno l’assassinio di un colonnello dell’aviazione (la forza più fedele al presidente, tra l’altro, e considerata la più patriottica) per una precedenza stradale è stato accolto male, come una provocazione di troppo. Cosa farà Assad? Proteggerà il cugino per vincolo di clan o rispetterà l’offesa popolare? Il caso ha scatenato un’ondata di proteste inedite che è andata avanti per tre giorni nelle strade vicino a Latakia. La città è la vera capitale dei fedelissimi del presidente, perché è nella zona del paese dove ci sono più abitanti di fede alawita – che nella guerra civile sono contrapposti ai gruppi armati nati dalla maggioranza sunnita.
Il blocco assadista che regge Assad non è più un blocco, si sta indebolendo: la minoranza drusa rifiuta di combattere e diserta, o si arruola nelle milizie locali; quando a luglio lo Stato islamico ha attaccato la città di Hasaka, l’esercito si è dileguato e ha lasciato a combattere soltanto le Ndf, le milizie popolari – poi lo Stato islamico è stato respinto, ma dai curdi aiutati dai jet americani. Anche il malcontento della base alawita cresce, e i fogli fotocopiati e clandestini che appaiono a Latakia dicono: “A noi le bare, a lui la sedia”. Sono cominciati a girare l’agosto 2014, quando il governo ha mandato due aerei da trsporto a prelevare gli ufficiali dalla base aerea di Tabaqa (vicino Raqqa) e ha lasciato a terra centinaia di soldati, che due giorni dopo sono caduti nelle mani dello Stato islamico (è seguito il solito video efferato).
Il caso Suleiman darà (forse) indicazioni preziose. Chi comanda in Siria? C’è ancora la catena di comando ufficiale, oppure, come scriveva il Financial Times a luglio, gli assadisti si sono spezzettati in tanti poteri e milizie diverse, dove gli shabiha filoiraniani possono fare quello che vogliono contro i militari – e sono ricambiati con ostilità?
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