Se sei progressista devi stare con le riforme di destra. L'invito di Osborne

I Tory inglesi vogliono i conti in ordine e lo stato che fa dei blitz. La guerra indotta nel Labour

Il cancelliere dello Scacchiere inglese, George Osborne (foto LaPresse)

di Paola Peduzzi | 21 Luglio 2015 ore 10:38

Milano. Il “nuovo centro” della politica britannica passa per la sicurezza economica di tutti i cittadini: i conti a posto, lo stato che viene in aiuto quando c’è bisogno, un nuovo patto sociale in cui i sacrifici sono distribuiti (più equamente che la ricchezza, nelle intenzioni). Alla vigilia del voto sui tagli al welfare, il cancelliere dello Scacchiere inglese, George Osborne, ha scritto sul Guardian un articolo che è anche un appello, un invito a unirsi in una battaglia che non è di parte, è un percorso economico-sociale che porta al benessere complessivo del paese. E’ un riformismo che, a differenza di quel che è avvenuto finora con l’insistenza, anche retorica, sull’austerità permanente, vuole diventare inclusivo – il sogno dei riformatori di tutto il mondo: fare le riforme insieme, senza le piazze o il palazzo affetti da cannibalismo.

Regno Unito. Una destra che ragiona No, i Tory inglesi non sono diventati buoni, ma al secondo mandato di governo, così solido, possono pensare di lasciare un’eredità che non sia soltanto ghigni torvi e ragazzi di buona famiglia con la fissa del libero mercato. Osborne è un cosiddetto “falco fiscale”, vuole i conti a posto e li vuole entro l’anno stabilito (il 2020), perché è convinto che se non c’è autonomia finanziaria, la crescita di un paese non è sufficiente a evitare collassi magari indotti dall’esterno. A questo servono i tagli al welfare, che sono molto pesanti, valgono 12 miliardi di sterline, anche se sono stati diluiti nel tempo rispetto al piano originario: servono a dare sicurezza. Al resto ci pensa lo stato che è sì leggero – small government – ma non per questo indifferente a quel che avviene nel paese: lo stato interviene eccome, e i “free marketers” sono già sul piede di guerra, dicono che così si rovina tutto quel che è stato fatto finora. Ma Osborne ha una parola suadente per convincere tutti.

L’innalzamento del salario minimo a livelli ancora più alti di quelli immaginati dai laburisti (7,20 sterline a partire da aprile 2016, 9 sterline entro il 2020) è l’arma che Osborne brandisce per dimostrare ai moderati progressisti che fa sul serio. Pagheranno le aziende per darvi un tenore di vita adeguato, e per sostenere i tagli al sistema sociale che sono inevitabili: anche gli elettori laburisti, sostiene il cancelliere, sanno e dicono che lo stato inglese spende troppo, non è un caso che l’ultima guerra civile scoppiata nel Labour, già di suo parecchio rissoso, abbia proprio a che fare con il voto per il ridimensionamento del welfare. Le aziende, che non sono affatto contente di dover pagare salari minimi più elevati (e il fatto che per la prima volta in due anni l’occupazione abbia registrato un rallentamento non ha fatto altro che assecondare queste lamentele), potranno godere però di corporate tax più ridotte, al 18 per cento, “rafforzando il fatto che il Regno Unito rimane il miglior posto del mondo in cui fare business”. I tagli pesano su tutti, ma tutti ne guadagneranno, e per ottenere l’appoggio dei laburisti, o almeno di alcuni di essi, Osborne ricorda i riformatori del partito, quelli che avevano già tentato – e in alcuni casi ci erano riusciti – di dare una scossa al sistema sociale: John Hutton, David Blunkett, James Purnell, i pragmatici del Labour spazzati via dalla svolta impressa da Ed Miliband.

L’appello è chiaro: riuniamoci al centro, facciamo insieme le riforme, proiettiamo il paese verso la crescita sostenibile insieme. Il sottotesto anche è piuttosto evidente: conviene anche a voi, laburisti, riposizionare il vostro brand nel progressismo riformatore, perché, come stanno capendo anche le sinistre continentali che subiscono più di altre il fascino del populismo à la Tsipras, è altrimenti difficile sopravvivere. Non è detto che l’appello funzioni. Un po’ perché, come tutto quel che Osborne dice, sa di bacio della morte. Un po’ perché si è appena consumata una guerriglia proprio sui tagli al welfare, con la leader attuale (e transitoria) del Labour, Harriet Harman, costretta a cambiare linea di voto a causa delle pressioni sindacali. E’ difficile immaginare che la riforma del laburismo britannico passi per Osborne, ma se anche un giornale come l’Observer arriva a pubblicare rose sfiorite e domande del tipo “c’è ancora bisogno del Labour?”, vuol dire che lo spazio per una nuova big tent c’è.

Categoria Estero

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